domenica 3 ottobre 2010

"Election" di Alexander Payne

All'epoca dell'uscita questo gioiellino di black comedy fu poco apprezzato dal grande pubblico (sia in Italia che negli Stati Uniti, fatte le debite proporzioni, passò in un numero ristretto di sale), ma riscosse al contrario un ottimo successo di critica, sia in patria che qui da noi. L'allora sconosciuto Alexander Payne, futuro regista di A proposito di Schmidt (2002) e soprattutto dell'ultimo brillante Sideways (2004), si fece infatti notare per la prima volta proprio con Election, commedia nera e satira pungente incentrata sull'oceano che c'è nel mezzo, quando si parla di esseri umani, tra il dire e il fare.
Ambientato in una anonima città come tante altre, Omaha, il film ruota attorno all'universo scolastico della Carver High School, soffermandosi su un evento in particolare: le elezioni del rappresentante degli studenti. Con un approccio frizzante, vivace e trascinante, la narrazione avanza alternando sapientemente i racconti e i punti di vista dei protagonisti/narratori: Jim McAllister (Matthew Broderick), lo stimato professore vincitore per ben tre anni dell'ambito premio per il miglior insegnante dell'anno; Tracy Flick (Reese Whiterspoon), l'ambiziosissima studentessa modello pronta a tutto pur di vincere le elezioni; Paul, lo studente rugbista un po' tonto, ingenuo ma sincero, idolo del liceo per via delle sue gesta sportive, che persuaso dal professore finisce per sfidare Tracy; la sorellastra di Paul, Tammy, giovane omosessuale sensibile e disadattata che si candida all'ultimo in forma di vendetta nei confronti del fratello, reo di averle inavvertitamente rubato la fidanzata.

La singolare forza con cui si sviluppano le diverse linee narrative del film è esemplificata dall'efficacissimo incipit, in cui ci vengono introdotti in modo inventivo e vivace i personaggi principali. E la sistematica discrepanza tra ciò che i personaggi raccontano (il modo in cui vedono se stessi o gli eventi che li riguardano) e quello che invece le immagini mostrano (la realtà delle cose), rappresenta un elemento satirico non certo nuovo ma che mostra con vincente dinamismo come i quattro protagonisti del film siano inevitabilmente diversi (o meglio peggiori) di quanto si dipingono e, spesso, anche di quanto si considerano consciamente. Insomma, tanto di fronte agli altri quanto di fronte a se stesso, ognuno di noi non è mai esattamente quel che dice di essere.
Senza perdere neanche per un attimo ritmo e brillantezza, Election fa leva su uno script eccellente (dello stesso regista in coppia con Jim Taylor, vincitori dell'Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per Sideways) e su una regia che con successo cerca di tradurne i risvolti e gli sviluppi in trovate visive intriganti, sempre felicemente funzionali al racconto. Come ha scritto con sintetica efficacia Mereghetti sul suo Dizionario, “la scuola” è vista da Alexander Payne “come metafora delle lotte di potere nel mondo adulto”, ma la sua opera è anche “un'elegia dei perdenti e dei mediocri, sconsolata e quasi disperata, ma sorretta da un'autoironia fulminante e da un umorismo vivacissimo (...) su un fondo di crudeltà e tenerezza che evita le consolazioni e i finti dilemmi (...)”. Con un finale beffardo che, sotto l'apparente scanzonata ironia, cela un sottile pessimismo pronto a scuotere lo spettatore a scoppio ritardato. Da consigliare ad occhi chiusi a chi non ha ancora avuto l'occasione di vederlo. Per molti aspetti, l'anti-Juno.

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