Negli ultimi anni sembra quasi che il migliore cinema italiano non possa fare a meno di Toni Servillo. L’attore campano da Le conseguenze dell’amore (2004) non sbaglia più un film e a partire dal 2007 ha inanellato una serie di performance di livello eccelso: La ragazza del lago (2007), Gomorra e Il divo (ambedue del 2008) non hanno fatto altro che palesare il talento e la forma di un interprete attualmente in stato di grazia. Nel convincente Una vita tranquilla di Claudio Cupellini, presentato in concorso qui al festival di Roma, il nostro non è assolutamente da meno e si candida prepotentemente, fin d’ora, al Marc’Aurelio destinato alla migliore interpretazione maschile.
Rosario Russo è un immigrato italiano di mezza età che in Germania è riuscito a rifarsi una nuova vita. Insieme alla moglie tedesca Renate, con la quale ha un figlio piccolo, gestisce un fortunato hotel-ristorante nei pressi di Francoforte. Il cinquantenne campano non parla mai con nessuno del proprio passato e della famiglia di origine. La sua vita tranquilla (da qui il titolo del film) non è però destinata a rimanere tale ancora per molto. I torbidi trascorsi legati al Bel Paese che è riuscito a celare in tutti questi anni, infatti, cominciano inesorabilmente a riemergere quando il figlio italiano che non vede oramai da più di un decennio si presenta da lui in compagnia di un giovane uomo. Qual è il misterioso passato del protagonista? E per quale motivo il figlio Mario e il suo presunto collega in affari Edoardo lo hanno improvvisamente raggiunto? Come affermavano citando Shakespeare uno dei personaggi e il narratore onnisciente di Magnolia, anche se si può chiudere con il passato, il passato non chiude con noi. Ed è proprio sul tema delle tragiche conseguenze della prorompente riemersione di un passato che si vuole nascondere ad ogni costo che in sostanza si concentra l’intero, potente, Una vita tranquilla.
Alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo il piacevole Lezioni di cioccolato (2007), Cupellini cambia felicemente registro passando con successo dai toni della commedia leggera a sfondo sociale a quelli di un potente dramma intimista che rimanda per intensità e tematiche non solo al citato Shakespeare, ma anche alla più vasta tradizione classica della tragedia greca. Il cineasta dirige con ottima mano un’opera appassionante ed emozionante che forse ha il solo difetto di procede in modo un po’ troppo prevedibile sino al colpo di scena finale. In ogni caso ben sceneggiato dallo stesso Cupellini in collaborazione con Filippo Graviano e Guido Iuculano, il film è senza dubbio da considerarsi una delle migliori pellicole italiane di quest’anno.
Da segnalare, in coda, la magnifica sequenza della cena in cui Rosario riflette su come comportarsi nei confronti di Edoardo, nel frattempo divenuto una seria minaccia per la segretezza della sua reale identità. Composta da una suggestiva successione di primi piani, la scena è magistralmente giocata sull’abilità di Servillo di esprimersi attraverso il linguaggio non verbale ed insieme alla sequenza in soggettiva dell’incidente automobilistico di Let Me In è il momento cinematografico più significativo sinora visto al festival.
Articolo già pubblicato su close-up in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma
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