martedì 12 agosto 2014

L'arte del rumore. Intervista al foley artist e tecnico del suono Gianfranco Tortora


Per una strana coincidenza anche Gianfranco Tortora come Emanuela Cotellessa, la protagonista dell’intervista pubblicata qui su Cinemagnolie lo scorso 30 giugno, ha dovuto rinunciare all’ambizione di divenire musicista a causa di un incidente stradale. Costretto ad abbandonare il pianoforte a diciassette anni, il ventiseienne foley artist e tecnico del suono calabrese ha poi continuato a lavorare come deejay e fonico di eventi live. Fino a quando, dopo aver frequentato diverse scuole di cinema (tra cui la Scuola Nazionale di Cinema Indipendente a Firenze e l’Istituto Rossellini a Roma), non è arrivata la settima arte.
Abbiamo incontrato Gianfranco nel suo nuovo studio Il suono del sud, un ex garage molto ampio che con l’aiuto del padre, costruendo muri e rialzando soffitti, ha trasformato in un confortevole luogo di lavoro composto da una sala doppiaggio, una sala rumori, una sala macchine e la prima sala missaggio in Italia predisposta per l’innovativo sistema sonoro Dolby Atmos.

In cosa consiste principalmente l’attività di foley artist?

Il foley artist è quella figura che, ricreando la maggior parte dei suoni che non riguardano le voci e la musica, ha il compito di sonorizzare la scena cinematografica, rendendola viva e costruendo all’interno di essa quel senso di realtà che risulta fondamentale per l’immedesimazione dello spettatore. Generalmente si occupa di riprodurre in studio i suoni connessi al corpo umano (passi e movimenti vari), i rumori che hanno a che fare con gli effetti delle azioni dei personaggi (un bicchiere che cade o una porta che sbatte) e i suoni ambientali, ma può occuparsi al contempo di effetti sonori più complessi. Se qui in Italia un foley artist, per motivi economici, è costretto a ricreare da solo tutti i suoni e i rumori di un film, negli Stati Uniti le cose sono molto diverse. In un blockbuster ad alto budget in cui è richiesta la riproduzione di una gran quantità di suoni, ad esempio, ogni foley si concentrerà esclusivamente su un singolo campo ristretto: i passi, le esplosioni, gli ambienti, i colpi di pistola, i rumori degli elicotteri, e così via.

Oltre ad essere un foley artist, sei anche un fonico di postproduzione e un fonico di presa diretta. Hai lavorato per il cinema, per alcuni musical in teatro e nell’ambito di eventi live. Come cambia il lavoro di fonico in questi differenti contesti?

Il mestiere di fonico nel cinema, nel caso in cui ci si occupi per uno stesso film sia della presa diretta che della postproduzione, consiste sostanzialmente nel registrare i suoni durante le riprese per poi trattarli in postproduzione nei modi più svariati e creativi. Il fonico di un evento dal vivo, sia esso un musical teatrale o un concerto, deve essere molto più dinamico e veloce nelle azioni rispetto a quello cinematografico. Quando si lavora in un musical, di solito si hanno a disposizione un mixer e due piastre audio dove mandare i vari brani musicali. Essendo lo spettacolo in diretta, è obbligatorio essere rapidi nei movimenti, nell’equalizzazione e nell’attuare, se necessario, dei riverberi. In questa situazione, ci si ritrova a controllare contemporaneamente molti microfoni (ogni attore ne ha uno) e anche gli altoparlanti sul palco o gli auricolari per gli interpreti, che vogliono sentirsi mentre cantano. Per quanto riguarda invece i concerti, le cose sono ancora più complesse poiché generalmente il fonico ha davanti a sé un banco mixer molto più grande e deve gestire allo stesso tempo un numero ancora maggiore di situazioni differenti e possibili imprevisti.

Negli ultimi mesi hai partecipato a diversi progetti cinematografici. Ce ne puoi parlare?

Da quando ho aperto il nuovo studio, circa quattro mesi fa, ho finalizzato tre lungometraggi: tra fine ottobre e novembre mi sono occupato rispettivamente della postproduzione e del missaggio di Sorrounded di Laura Girolami e Federico Patrizi e di Quando si muore si muore di Carlo Fenizi, mentre a dicembre ho finito di lavorare a The Sweepers di Igor Maltagliati, un film con molta computer grafica a cui ho dato un contributo anche come sound designer. Nel frattempo, ho lavorato come fonico di presa diretta sul set di Tender Eyes di Alfonso Bergamo. Precedentemente, inoltre, mi sono dedicato per cinque mesi a Handy, uno straordinario film d’animazione 3D che mi sta molto a cuore. Il regista è Vincenzo Cosentino e il lavoro è stato realizzato nell’arco di quattro anni con poche risorse economiche ma con tanta passione. Per Handy, che a ottobre è stato accolto con entusiasmo negli Stati Uniti all’Austin Film Festival, mi sono occupato di ogni singolo aspetto della postproduzione del suono: pulizia della presa diretta, ricostruzione dei suoni, degli ambienti e degli effetti, mix in 5.1 e doppiaggio dei personaggi. Dopo questa bellissima esperienza, mi farebbe piacere continuare a lavorare in film nei quali la computer grafica ha un ruolo fondamentale.

Articolo pubblicato nel numero 5 di Fabrique du Cinéma (Gennaio-Marzo 2014)

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