Chi si aspettava la tipica commedia brillante di stampo britannico sarà rimasto spiazzato. L’ultimo film del regista de L’erba di Grace (2000) e Calendar Girls (2003), passato lo scorso mese per il festival di Toronto e presentato qui a Roma fuori concorso, racconta infatti con una certa leggerezza di fondo, ma senza rinunciare all’inevitabile registro drammatico, la storica battaglia portata avanti nel 1968 dalle lavoratrici dello stabilimento Ford del quartiere londinese di Dagenham.
Degradate ingiustamente dall’azienda al ruolo di operaie non qualificate, nonostante il loro impiego di cucitrici dei rivestimenti per le automobili richieda in realtà una qualifica ben precisa, le donne decidono all’unanimità di organizzare uno sciopero. Sulle prime, spaesate e indecise riguardo all’impronta da dare alla loro protesta, esse trovano nella collega Rita O’Grady (la convincente Sally Hawkins) la figura carismatica essenziale ad esprimere e diffondere le proprie ragioni.
Grazie al prezioso aiuto dell’abile sindacalista Albert (Bob Hoskins), la lotta per essere considerate delle lavoratrici qualificate si trasforma ben presto in una più ampia battaglia per vedere riconosciuto il diritto di tutte le donne ad essere retribuite allo stesso modo degli uomini. Optando per lo sciopero ad oltranza con l’obiettivo di convincere il colosso automobilistico ad accettare la richiesta di equiparazione salariale, le scioperanti causano così il blocco totale della produzione dello stabilimento. A questo punto persino gli operai della Ford di Dagenham, costretti a rimanere a casa senza retribuzione, iniziano a mal digerire la protesta delle colleghe. Proprio quando le cose sembrano volgere per il peggio, la tenacia di Rita e delle sue compagne viene ripagata: la questione arriva sino al ministero per il lavoro e le attività produttive, dove il coraggioso ministro Barbara Castle (Miranda Richardson) sposa la loro causa creando le premesse per la futura approvazione della legge che sancirà la parità salariale tra uomini e donne (l’“Equal Pay Act” del 1970).
Grazie al prezioso aiuto dell’abile sindacalista Albert (Bob Hoskins), la lotta per essere considerate delle lavoratrici qualificate si trasforma ben presto in una più ampia battaglia per vedere riconosciuto il diritto di tutte le donne ad essere retribuite allo stesso modo degli uomini. Optando per lo sciopero ad oltranza con l’obiettivo di convincere il colosso automobilistico ad accettare la richiesta di equiparazione salariale, le scioperanti causano così il blocco totale della produzione dello stabilimento. A questo punto persino gli operai della Ford di Dagenham, costretti a rimanere a casa senza retribuzione, iniziano a mal digerire la protesta delle colleghe. Proprio quando le cose sembrano volgere per il peggio, la tenacia di Rita e delle sue compagne viene ripagata: la questione arriva sino al ministero per il lavoro e le attività produttive, dove il coraggioso ministro Barbara Castle (Miranda Richardson) sposa la loro causa creando le premesse per la futura approvazione della legge che sancirà la parità salariale tra uomini e donne (l’“Equal Pay Act” del 1970).
Con We Want Sex, titolo quanto mai fuorviante (l’originale è il più appropriato Made in Dagenham) che fa furbescamente riferimento ad un momento del film in cui su uno striscione delle dimostranti sono visibili solo le prime tre parole della scritta “We Want Sex Equality”, l’inglese Nigel Cole realizza un’opera godibile senza grandi pretese storico-sociologiche.
Sebbene il finale si riveli forse un po’ sbrigativo nel descrivere l’accordo tra il ministro Castle e le lavoratrici, grazie soprattutto alla buona sceneggiatura di William Ivory il film alterna con apprezzabile efficacia ed intelligenza il registro drammatico a quello ironico più tipico della commedia, intrattenendo con abilità lo spettatore senza soluzione di continuità. Per quanto non sia certo una pellicola memorabile, We Want Sex è sicuramente una delle cose migliori viste finora nelle selezione ufficiale.
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