lunedì 29 giugno 2015

L'animazione al potere. Intervista a Paolo Gaudio, regista e sceneggiatore di "Fantasticherie di un passeggiatore solitario"

Girato al contempo in live action e attraverso tre diverse tecniche di stop motion, Fantasticherie di un passeggiatore solitario uscirà nelle sale italiane nei prossimi mesi dopo aver riscosso un notevole successo in numerosi festival internazionali dedicati al cinema di genere.


Ispirato dalla passione per i libri incompiuti nata ai tempi degli studi universitari di filosofia, il regista e sceneggiatore calabrese Paolo Gaudio ha realizzato un’opera prima affascinante e molto ambiziosa che intreccia tre differenti storie. Fantasticherie di un passeggiatore solitario narra le vicende del romanziere Renou, intento a scrivere nella seconda metà dell’Ottocento un’opera che, per quanto destinata a non vedere una conclusione, giunge misteriosamente tra le mani del giovane Theo, un bizzarro e introverso studente di letteratura dei giorni nostri. Le dimensioni del passato e del presente sono collegate dalla suggestiva rappresentazione in animazione a passo uno delle vicende del romanzo che Renou sta scrivendo e Theo sta leggendo.
Prodotto dalla Smart Brands di Angelo Poggi, il film alla fine del 2014 si è aggiudicato il Grand Prix della Samain du Cinéma Fantastique di Nizza (lo stesso riconoscimento nel 2013 era andato a Gravity di Alfonso Cuarón) ed è stato proiettato in molti festival europei e statunitensi, tra cui il Sci-Fi-London Film Festival, il Brussels International Fantastic Film Festival e il californiano Mammoth Lakes Film FestivalTra i suoi più grandi punti di forza, Fantasticherie annovera senz’altro l’ottimo lavoro svolto nel campo dell’animazione e degli effetti visivi. Proprio di questo abbiamo parlato con Paolo Gaudio, la cui produzione è legata fin dai primi cortometraggi alla sperimentazione di tecniche d’animazione nel contesto del cinema di genere fantastico.


Ho trovato molto interessante la scelta di realizzare completamente in animazione i momenti in cui la fantasia dello scrittore Renou prende vita grazie alla scrittura. Come mai hai voluto legare in maniera così forte l’animazione con il tema dell’immaginazione?

Per come lo intendo io, il cinema è uno spazio in cui potersi muovere con la massima libertà tra linguaggi e registri diversi. Da sempre ho visto nell’animazione il modo più esplicito e più diretto per tradurre la fantasia in immagini. Dato che nel film il mondo dell’immaginazione doveva essere la fondamentale cerniera tra le storie dello scrittore e dello studente, l’animazione non poteva che avere un ruolo centrale. Fin dalle primissime fasi di ideazione del progetto, la mia idea è stata quella di realizzare una pellicola che prevedeva dei momenti di fantasia purissima. E secondo me nel cinema la fantasia purissima può essere rappresentata appieno solo attraverso l’animazione.

In Fantasticherie si fa ampio ricorso alla clay animation. Per quale motivo hai optato per questa tecnica?

La clay animation è un tipo di stop motion che utilizza pupazzi in plastilina. Questi, a differenza di quelli più raffinati in silicone o in lattice, sono privi di un’armatura o di una struttura metallica che permette di spostare più facilmente le parti che si vogliono muovere. La clay animation è una tecnica molto più economica (i pupazzi in plastilina hanno un costo contenuto) ma anche più complicata rispetto alla stop motion moderna, in quanto richiede una maggiore sensibilità da parte dell’animatore, che per muovere il pupazzo arriva a doverlo rimodellare o riscolpire a mano. L’animatore Gianluca Maruotti, da questo punto di vista, ha fatto davvero un gran lavoro nel film. Per quanto con la clay animation sia impossibile raggiungere la grande definizione dei dettagli e l’iperrealismo tipici della stop motion contemporanea industrializzata, devo dire che nel caso specifico di Fantasticherie il carattere più artigianale della clay animation si adattava molto meglio al tipo di fantasia che volevo rappresentare.


Oltre alla clay animation, in alcuni passaggi del film hai utilizzato anche altre due tecniche di animazione a passo uno come la cutout animation e la pixillation.

È vero. Con la tecnica della cutout animation, un altro tipo di stop motion in cui il materiale ad essere animato non è il pupazzo ma la carta, abbiamo realizzato i cartelli che dividono il film in tre capitoli (“Fantasticheria n° 23”, “Il necromante”, “Il viaggio”) e tutti i titoli di coda, oltre a far esplodere la casetta alla fine della sequenza dei titoli di testa. Nella scena in cui Theo racconta dei suoi genitori mentre li vediamo seduti sul divano, invece, abbiamo optato per la pixillation animando in passo uno direttamente i corpi di Fabrizio Ferracane e Selene Riosello. I due attori si sono prestati in maniera straordinaria a un lavoro molto complicato, che richiedeva di stare completamente immobili finché non gli avrei dato il via libera per il movimento successivo.

Insieme alla sequenza in cui vengono connessi un momento della scrittura di Renou e il parto della sua immaginazione attraverso l’evocativa Holes dei Mercury Rev, la scena dei titoli di testa è la più sorprendente e d’impatto dell’intero film. Puoi dirci come è stata realizzata?

In questo caso abbiamo ripreso in live action a 25 fotogrammi al secondo un modellino di carta che ricostruisce la città del sogno di Theo. Per motivi economici abbiamo fatto ricorso alla carta e non a un plastico, ma la scelta si è rivelata assolutamente vincente. Credo che la sequenza abbia una grande personalità dal punto di vista estetico e forse resterà un pezzettino unico nel cinema italiano di questi anni. Secondo me il nostro cinema deve puntare con maggiore decisione su soluzioni di questo tipo. In un periodo storico in cui la settima arte tende sempre più a standardizzarsi, infatti, ci sarebbe davvero bisogno di osare e provare a spingersi verso cose un pochino differenti, almeno da un punto di vista dell’estetica, della visione, dello sguardo.


C’è un aspetto del lavoro sull’animazione e sugli effetti speciali del tuo film di cui vai particolarmente fiero?
 
Una delle cose di cui vado più orgoglioso è il modo in cui abbiamo creato il necromante, il mostro che tormenta Renou e ne ostacola l’attività creativa. All’inizio del film eravamo molto indecisi su come procedere. Abbiamo pensato a crearlo in computer grafica, ad animarlo su green screen, a ricorrere all’animatronica o a vestire un attore con un costume. Poi un giorno con l’esperto di effetti speciali Leonardo Cruciano abbiamo tirato fuori una tecnica ibrida che prevedeva una creatura che avesse un corpo vicino a quello dei mostri da fumetti o da fiaba. L’animatore Luigi Ottolino ha indossato la testa del mostro e poi tutto quello che restava fuori è stato coperto con una tuta che ci ha permesso in seguito di eliminare in post-produzione ciò che volevamo. A questo processo hanno lavorato anche Dennis Cabella e Marcello Ercole della Illusion di Genova. è stato un lavoro difficilissimo ma molto soddisfacente. Questo modo di concepire le creature è stato poi proposto per Il racconto dei racconti a Matteo Garrone, che ha scelto di affidare alla Makinarium di Leonardo Cruciano, Angelo Poggi e  Nicola Sganga la realizzazione di tutte le creature del suo film. Il nostro piccolissimo prodotto, fatto con la solidarietà e l’amicizia di grandi professionisti, è stato quindi in qualche modo una fucina di creativi che adesso ha partorito qualcosa di straordinario.


Dopo il successo internazionale di Fantasticherie, a cosa stai lavorando ora?

A diverse cose. Tra le tante, c’è un adattamento del racconto Dagon di Lovecraft che sarà realizzato interamente in clay animation e che, come il mio esordio, verrà prodotto dalla Smart Brands. Si tratta di un adattamento di Lovecraft molto particolare, perché in un certo senso è come se i mostri di Lovecraft incontrassero l’universo di film d’azione della seconda metà degli anni ottanta e dei primi anni novanta come Predator o Aliens. Per dirla con una battuta, sarà un Lovecraft visto con i muscoli di Arnold Schwarzenegger. Contemporaneamente, sto lavorando anche con la Rainbow CGI e la Rainbow Academy allo scopo di far nascere un piccolo dipartimento di animazione in stop motion che speriamo possa portare a una serie televisiva che stiamo immaginando. 

Articolo pubblicato nel numero 10 di Fabrique du Cinéma (Estate 2015)

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