“L’idea di identità e di liberazione rappresenta forse per me e per la mia visione di cinema indipendente il vero obiettivo” (Haile Gerima)
Ambientato lungo l’arco di tre decadi in due Paesi (Germania e Etiopia) e quattro luoghi differenti, Teza di Haile Gerima narra con straordinario talento visivo e l’ambizione propria delle grandi opere la storia di Anberber, dottore etiope formatosi in Germania alla fine degli anni Settanta che torna il decennio successivo in patria, ad Addis Adeba. In seguito alla caduta del regime di Mengistu, il suo intento è quello di dare una mano alla popolazione guarendo quante più persone possibile. Dopo essere stato rispedito in Germania alla fine degli anni ottanta dal comando rivoluzionario, nel 1990 torna dopo molti anni nel suo paese nativo, dove ritrova la famiglia e i luoghi dell’infanzia.
Il film parte da qui, per poi mostrare attraverso una serie di flashback i trascorsi del protagonista, quei ricordi del passato che emergono nel nevralgico momento del problematico confronto con la propria cultura d’origine, così diversa da quella laica e razionale che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare in Europa – la quale, comunque, non ha saputo evitare guerre mondiali, violenza e razzismo dilaganti. Assistiamo così ad un complesso, sfaccettato ed affascinante viaggio identitario, in cui la storia personale di Anberber si intreccia costantemente con la travagliata Storia del popolo etiope (in perenne guerra civile dagli anni settanta), raggiungendo eccellenti vette di liricità. La guerra alla fine sembra emergere come tragico, probabilmente unico, minimo comune denominatore tra culture opposte che non hanno praticamente nulla in comune. Per il cineasta però non tutto è perduto: Amberer (interpretato in modo molto convincente da Aaron Arefe), dopo aver viaggiato in modo sofferto nel suo passato, acquista profondamente consapevolezza di sé, della propria storia e di quella del popolo etiope. Decide così di prendere nuovamente in mano la sua vita, dedicandosi all’attività di insegnante nella speranza di poter contribuire in tal modo a quel cambiamento sociale e politico che da tanti anni auspicava.
Haile Gerima, probabilmente il più importante autore proveniente dal continente nero, rivela una eccellente padronanza del mezzo cinematografico, gettando una luce splendente sulle possibilità del cinema africano e fornendo una grande prova di maturità, tanto a livello contenutistico quanto stilistico. La macchina da presa è spesso mobile, alla costante ricerca dell’espressione del soggettivo stato d’animo del protagonista, e riesce a restituire mirabilmente – con sorprendente forza visiva – la fase di confusione e perdizione in cui egli versa per gran parte del film. Il regista, coadiuvato da un’ottima sceneggiatura, costruisce un meccanismo diegetico stimolante e apparentemente privo di falle, passando abilmente da uno spazio temporale all’altro con una scioltezza ed una coerenza rispetto alle esigenze narrative veramente notevoli: ogni cosa sembra avvenire al momento giusto e ogni singolo flashback è del tutto funzionale all’approfondimento del personaggio e delle sue esperienze vissute. Interessante poi è l’utilizzo della colonna sonora, che alterna momenti di musica africana ad altri in cui le immagini vengono suggestivamente accompagnate da sonorità blues.
Con Teza siamo di fronte ad una pellicola di grande valore, senza ombra di dubbio il lavoro più intimo, intenso e significativo apparso sugli schermi della penultima edizione del festival di Venezia. Vincitore del Gran Premio della Giuria e del premio Osella per la miglior sceneggiatura, avrebbe meritato il Leone d'Oro (anche se The Wrestler di Darren Aronofsky non è stata certo una scelta di cattivo gusto): il più bel film dell'anno. Da recuperare in dvd, assolutamente.
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