La
Kimerafilm rappresenta una delle realtà produttive e distributive più
interessanti emerse nel panorama del cinema italiano degli ultimi anni. Fondata
nel 2009 da alcuni ragazzi conosciutisi al Centro Sperimentale di
Cinematografia, nei primi quattro anni di attività la società si è mossa con
passione e tenacia dando vita e visibilità, nonostante i molteplici ostacoli
incontrati, a opere indipendenti di giovani interessanti cineasti.
Impegnata
nella produzione tanto di film di finzione quanto di documentari, oltre che
nella distribuzione, la Kimerafilm si è da subito fatta notare grazie a Et in terra pax, l’ottimo lungometraggio
d’esordio di Matteo Botrugno e
Daniele Coluccini vincitore nel 2011 di una menzione speciale ai Nastri
d’argento. Fabrique ha incontrato Simone Isola, uno dei fondatori della Kimera,
negli uffici della società a Testaccio.
La vostra prima esperienza è legata a Et in terra pax, presentato con successo a Venezia alle Giornate degli autori e in molti altri festival del mondo. Come è nato questo progetto per diversi aspetti innovativo?
Quando
ancora non avevamo costituito la Kimera, già girava la bella sceneggiatura di
Matteo e Daniele, che apprezzavo da tempo per i loro cortometraggi. Appena nata
la società, quindi, abbiamo subito iniziato a lavorare per mettere su questo film
a bassissimo costo andando alla ricerca di compartecipazioni e fondi privati. Intorno
a maggio del 2009, poi, si è unito a noi Gianluca Arcopinto, nostro insegnante al
Centro Sperimentale. E così dopo qualche mese, a settembre, siamo riusciti a partire
con le riprese, nonostante il Ministero non ci avesse accordato il
finanziamento. Il film, tra l’altro, è stato uno dei primi ad essere girato con
la telecamera digitale ad altissima definizione Red One.
La
cosa che più mi rende orgoglioso di aver prodotto Et in terra pax è che i giovani sotto i trent’anni che lo hanno
realizzato, molti dei quali erano usciti da poco dal Centro o erano ancora allievi,
hanno avuto la rara possibilità di esordire in Italia come capo reparto prima
dei quarant’anni. Sono fermamente convinto che se anche le produzioni più
grandi iniziassero ad affidare la realizzazione di film a giovani competenti e
appassionati, il nostro cinema ne uscirebbe enormemente arricchito.
Quali sono gli
spazi, in Italia, per le produzioni indipendenti come la vostra? E quanto è
difficile investire su progetti originali in cui i giovani sono protagonisti?
Le difficoltà che si incontrano sono tantissime e gli spazi di manovra molto limitati. Ci si scontra quotidianamente con un sistema fondato su logiche che rendono estremamente complicato far arrivare al cinema una proposta coraggiosa e non convenzionale. Le difficoltà, poi, aumentano ulteriormente se si cerca di valorizzare i giovani talenti.
Per
cambiare davvero le cose sarebbe necessario riformare in profondità tutto il
sistema su cui si basa il cinema italiano, a partire dal meccanismo dei
finanziamenti pubblici fino alla distribuzione, passando per l’insegnamento del
cinema nelle scuole. Non solo si dovrebbero premiare maggiormente i progetti di
qualità, ma sarebbe fondamentale costituire un circuito di distribuzione
nazionale che si occupi esclusivamente di veicolare al pubblico le opere
finanziate. In assenza di un cambiamento radicale, che sempre più si avverte
come prioritario, le produzioni indipendenti saranno costrette a operare inseguendo
delle sporadiche contingenze favorevoli, nell’assoluta impossibilità di dare
continuità al loro lavoro.
Abbiamo
appena prodotto con Arcopinto la nuova opera di Daniele Gaglianone, La mia classe, che
racconterà la vita di alcuni ragazzi di origine non italiana e il loro rapporto
con l’insegnante Valerio Mastandrea. Il film affronterà temi molto presenti
nell’attuale dibattito sociale del nostro paese e sarà presentato alla Mostra
del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli autori. Recentemente abbiamo
poi concluso il documentario di Annarita Zambrano L’anima del Gattopardo, una coproduzione italo-francese cui hanno
partecipato anche Rai Cinema e Ciné+, che riflette sulla Sicilia di oggi a
partire dalle suggestioni offerte dalle opere di Tomasi di Lampedusa e Visconti.
Sempre con la Francia abbiamo coprodotto Rosso
cenere, il documentario di Adriano Aprà che andrà al Festival di Locarno. Stiamo inoltre collaborando al documentario di Luca
Guadagnino su Bernando Bertolucci, Bertolucci
on Bertolucci, e in autunno partiranno le riprese di un altro documentario di
cui curerò la regia dedicato alla figura di Alfredo Bini, il produttore che
permise a Pier Paolo Pasolini di esordire nel mondo del cinema.
Articolo pubblicato nel numero 3 di Fabrique du Cinéma (Luglio-Settembre 2013)
Molto interessante Luca, ho letto proprio poco tempo fa un post simile a proposito di un corto.
RispondiEliminaSperiamo che il nostro cinema abbia sempre l'occasione per riscattarsi e tornare agli allori di un tempo!
Buona serata amico mio!
io credo nelle potenzialità del cinema italiano.
RispondiEliminae questa intervista ringalluzzisce la mia fede
Nella e Patalice, grazie per i commenti! Speriamo davvero che al più presto possa verificarsi un cambio generazionale nel mondo del cinema in grado di rinnovare e "svecchiare" molte delle nostre produzioni, rendendole più audaci e "fresche" sia dal punto di vista narrativo che stilistico.
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