mercoledì 18 agosto 2010

"The Wrestler" di Darren Aronofsky

In attesa di Black Swan, l'ultima fatica di Darren Aronofsky che il primo settembre aprirà i giochi della 67a edizione del Festival del cinema di Venezia, vi propongo la mia breve recensione veneziana di The Wrestler, il bel film che nel 2008 fruttò a sorpresa al regista di Brooklyn il Leone d'Oro.

Dopo essere stato sonoramente fischiato per l’ambiguo ma fuor d’ogni dubbio interessante (dal punto di vista registico) ed ambizioso (dal punto di vista narrativo) The Fountain, il talentuoso Darren Aronofsky si è ripresentato in concorso a Venezia dopo due anni con The Wrestler. E ne è uscito, un po’ inaspettatamente, trionfante.
The Wrestler è incentrato sulla figura di Randy “The Ram” Robinson (interpretato ottimamente da un commovente e redivivo Mickey Rourke, che offre una delle sue migliori interpretazioni di sempre), un simbolo del wrestling degli anni Ottanta ormai ridotto in uno stato di quasi totale solitudine e costretto a lavorare come commesso in uno squallido supermarket per pagare l’affitto della sua spoglia roulotte. L’uomo ha perduto ogni rapporto con sua figlia Stephanie (Evan Rachel Wood) e tutto ciò che gli è rimasto sono una sincera amicizia con una bella spogliarellista di nome Cassidy (Marisa Tomei) e il suo amato sport, che continua a praticare a livelli minori guadagnando pochi spiccioli. Convinto da Cassidy, decide di tentare di riallacciare i rapporti con la figlia, all’incirca ventenne, che ha trascurato per anni scegliendo di dedicarsi esclusivamente al lavoro.

La storia di una vecchia gloria in decadenza, che si ritrova in un certo momento della sua vita solo e abbandonato in conseguenza del comportamento egoista avuto in passato, non è certo una novità al cinema. Originale (e rischiosa) è però la scelta di ambientare il racconto nell’insolito mondo del wrestling, specchio metaforico di quello reale, dove abbondano falsità e verità di facciata (tutti gli incontri sono predeterminati e il pubblico, pur essendo a conoscenza di ciò, inspiegabilmente gode dello spettacolo). Aronofsky, oltre a rivelare ancora una volta di avere coraggio da vendere e di amare storie e personaggi problematici e mai banali, si conferma un grandissimo regista, indubbiamente uno dei più dotati nel panorama statunitense contemporaneo. Abbandonando i seducenti virtuosismi di Requiem for a dream e The Fountain, costruisce una sobria messa in scena che toglie egualmente il fiato e che ha il notevole pregio di “sacrificarsi” totalmente alla raffigurazione del personaggio principale, e di conseguenza alle esigenze narrative. Visto in tal senso, The Wrestler può essere considerata la prova della maturità: indugiando spesso (si veda la prima parte del film in cui ci viene presentato “The Ram”) su carrelli che seguono il protagonista da dietro e che negano il primo piano, vengono sottolineati efficacemente e con grande semplicità la particolare condizione esistenziale e la profonda solitudine dell’ex campione di wrestling, cui Rourke presta generosamente corpo, anima ed una voce rauca tipica degli sconfitti. Un potente e struggente primissimo piano gli verrà poi dedicato, non a caso, in uno dei momenti più toccanti della pellicola, quando Randy si confronterà con la figlia affrontando per la prima volta il proprio passato.
Probabilmente non era da Leone d’Oro (che personalmente avremmo assegnato all’etiope Teza), ma è comunque un ottimo film che evita ogni facile edulcorazione e scava con encomiabile sincerità nella desolante realtà della sconfinata America dei vinti. Per chi scrive, in ogni caso, l’opera migliore di Aronofsky resta Requiem for a dream, un folgorante, spietato e sistematico rovesciamento del Sogno Americano e dell’annesso, corrosivo poiché illusorio, mito della seconda possibilità.

Articolo pubblicato nel numero 7 di Cinem'art (Ottobre 2008)