lunedì 13 dicembre 2010

"The Blues Brothers", trent'anni dopo


Incredibile ma vero. Sono già passate tre decadi da quando il 16 giugno del 1980 uscì in anteprima a Chicago The Blues Brothers, distribuito poi quattro giorni più tardi su scala nazionale e a novembre in Italia. Il film, nonostante quanto si dica e scriva di solito, non fu assolutamente un flop al botteghino: costato la cifra di 30 milioni di dollari, ne guadagnò 115 solo nel circuito delle sale cinematografiche di tutto il mondo. Senza considerare il noleggio e la vendita in videocassetta, oltre al fatto che di lì a breve il film dell’allora trentenne John Landis divenne inaspettatamente un vero e proprio cult che con gli anni, a giudicare dalla capacità di divertire, intrattenere e affascinare anche i ragazzi di oggi, ha dimostrato di essere uno dei pochi veri cult transgenerazionali della storia del cinema.
Se il box-office dunque non voltò le spalle a The Blues Brothers, spietate furono le critiche d’oltremanica. La maggior parte dei recensori di quotidiani e riviste di cinema si schierarono apertamente contro il film: il Washington Post attaccò aspramente l’operazione di Landis e del duo Belushi-Aykroyd, scagliandosi persino contro la geniale decisione di far indossare ai protagonisti degli occhiali da sole per l’intera durata del film; la celebre rivista Variety non apprezzò affatto l’irresistibile comicità demenziale che costantemente attraversa il film, giungendo persino a paragonare il film di Landis a quelli di Gianni e Pinotto (!). In Italia le cose per una volta andarono meglio, e i nostri critici si distinsero per una maggiore sensibilità nei confronti di un prodotto innovativo e anticonvenzionale che sembra non temere affatto il passare degli anni.


Genesi e trama di un cult transgenerazionale

L’idea del film nacque a partire dai due personaggi occasionalmente interpretati da Belushi e Aykroyd durante alcune delle loro apparizioni al celebre programma satirico statunitense Saturday Night Live. Il successo degli sketch esilaranti che vedevano protagonisti questi atipici fratelli così diversi fisicamente (uno tozzo e l’altro slanciato), sempre vestiti di nero e muniti di occhiali da sole, portarono Aykroyd e Landis a pensare di creare una storia attorno ai due personaggi, legandola alla loro comune passione per il rhythm and blues e per il musical. Il risultato è una commedia musicale frizzante e spassosa con notevoli tocchi di nonsense che, visti con il senno di poi, risultano aver fatto scuola nel cinema degli anni a venire. Il tutto condito da una regia abilissima nell’innescare il registro comico anche solo sfruttando le possibilità compositive dei piani di ripresa (come non ricordare, all’inizio del film, l’inquadratura espressionista con semi-soggettiva del crocifisso?).
Prima di addentrarci nell’analisi del film, ad ogni modo, riassumiamone in poche righe la storia. Jake Blues (John Belushi) esce di galera dopo aver scontato una condanna di tre anni (due in meno di quelli originariamente stabiliti grazie alla buona condotta) per aver rapinato una stazione di servizio. Il fratello Elwood (Dan Aykroyd) lo aspetta fuori dal carcere e lo convince a onorare la promessa che aveva fatto dal penitenziario: andare a trovare, non appena libero, la temibile suora che gestisce l’orfanotrofio in cui sono cresciuti. La Pinguina, come viene soprannominata la monaca dai fratelli, rivela ai due che il vescovato non ha intenzione di pagare i 5.000 dollari che l’orfanotrofio deve alla Contea e ha stabilito di vendere l’edificio al Ministero della Pubblica Istruzione. A questo punto, John ed Elwood decidono di riunire la loro vecchia band dei Blues Brothers, con l’obiettivo di guadagnare attraverso una serie di concerti la somma necessaria a mantenere in attività l’orfanotrofio. Convinti di essere “in missione per conto di Dio”, dopo che Jake nella celebre sequenza della Chiesa Battista di Triple Hall viene investito dalla luce divina, iniziano a cercare ogni singolo membro del vecchio gruppo per convincerlo a lasciare la loro attuale occupazione in nome dell’esaltazione per il blues e per la squattrinata ma libera vita del musicista.
La loro missione umanitaria sarà ostacolata da una miriade di personaggi che, per un motivo o per l’altro, danno la caccia alla band: da una giovane donna che tenta di uccidere i fratelli per vendicarsi di Jake, il quale prima di andare in prigione l’aveva mollata sull’altare, all’improbabile sparuto gruppetto di neo-nazisti del Partito Socialista Americano dei Bianchi, passando per polizia, esercito e un gruppo country cui i Blues Brothers avevano rubato una serata di esibizione.


La struttura, i personaggi, lo scopo: viva il rhythm and blues!

Sulla scia di questo semplice canovaccio, rappresentato dalla ricerca della somma che impedisca la scomparsa dell’orfanotrofio “Sant’Elena della Beata Sindone”, The Blues Brothers si sviluppa piacevolmente e senza cali di ritmo per tutti i 142 minuti della sua versione estesa. Potendo contare su una molteplicità di gag e situazioni a dir poco spassose e facendo leva su intermezzi musicali di grandissima qualità (storiche le partecipazioni, in rigoroso ordine di apparizione, di mostri sacri come James Brown, Cob Calloway, John Lee Hoocker, Aretha Franklin e Ray Charles), il lungometraggio propone una straordinaria galleria di personaggi secondari. Indimenticabili quelli già citati della ex fidanzata di Jake che tenta vanamente di far fuori Jake ed Elwood (la Carrie Fischer celebre per aver interpretato la principessa Leila di Guerre Stellari) e l’inossidabile Pinguina pronta a bacchettare i due brothers alla minima imprecazione (Kathleen Freeman, protagonista di un cameo straordinario). Altrettanto memorabile, per essere sintetici e non prodursi in un elenco stucchevole, perlomeno il personaggio del leader del partito neo-nazista interpretato da Henry Gibson (deceduto lo scorso anno e noto in primis per le interpretazioni in Nashville di Altman e Magnolia di Paul Thomas Anderson).


Alcune sequenze sono entrate nell'immaginario popolare internazionale per il loro prepotente impatto comico: si pensi alla sequenza dell’orfanotrofio che vede protagonista la Pinguina, o a quella del ristorante in cui i due fratelli, per convincere un membro della vecchia band a tornare con loro, si esibiscono in un indecoroso spettacolo davanti ai clienti del ristorante di lusso dove l’amico lavora. Celebre anche l’interminabile scena dell’inseguimento finale, che vista oggi sembra essere una efficace e davvero eccessiva parodia premonitrice delle prolungate e poco credibili scene d’azione che affollano la produzione hollywoodiana contemporanea.
The Blues Brothers ha indubbiamente il grande pregio – come scrive Renato Venturelli nella voce dedicata a John Landis nel Dizionario dei registi del cinema mondiale edito da Einaudi – di reinventare “in modo clamoroso il musical, strappandolo alle matrici teatrali, pur rispettandone esteriormente la struttura (il classico allestimento d’uno spettacolo), e usando i paradossi del cartoon in chiave antinaturalistica e libertaria”. Il film, che ancora oggi si propone come un trascinante e appassionato inno al cinema di genere (evidenti sono le citazioni a topoi del musical, del western o del noir), oltre naturalmente che al blues e alla musica tout court, ha avuto inoltre l’incalcolabile merito, in un periodo in cui i ritmi della disco-music la facevano da padrona, di ricordare ai giovani dell’epoca l’esistenza e l’importanza del rhythm and blues. Assolutamente consigliato a chi ancora, per qualche strano scherzo del destino, non abbia avuto l’occasione di vederlo.

Articolo già pubblicato nel numero 22 di Cinem'Art (Luglio/Agosto 2010)

10 commenti:

  1. Ho visto tutte e due i film, sono semplicemente geniali, grandissimi john e dan( che tra l' altro ha anche influito sulla sceneggiatura), per non parlare delle musiche... com'è che dicevano? Ah sì: Sono in missione per conto di dio... ahah eccezionale,
    molto interessante il blog, vienimi a trovare
    http://pocketfilmblog.blogspot.com/

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  2. grazie per i complimenti, hai avuto una gran bella idea con il tuo blog :)

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  3. Il film è stuoendo senza conderare l'insequimento piu bello del cinema americano della storiaz fino ad oggi
    niko95

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  4. ciao niko95, benvenuto nel mio blog. Mi fa piacere che il film ti sia piaciuto, è un grande classico ormai!

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  5. E ieri sono stati trent'anni che se ne è andato il mitico John Belushi, vera e propria leggenda ed icona dei nostri tempi...indimenticabile!

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    1. Mi fa piacere tu l'abbia ricordato tra i commenti a questo post. Avevo pensato di scrivere un piccolo articolo su Beluschi per la ricorrenza della sua morte, ma poi per motivi di tempo ho desistito. Davvero indimenticabile la sua performance in "The Blues Brothers"!

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  6. Un film che non sente il passare del tempo ...

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    1. Un grande "evergreen" ... l'ho rivisto recentemente al cinema e ne sono rimasto, ancora una volta, molto colpito.

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  7. ehi grazie del sostegno al blog!
    io invece l'ho portato a scuola per farlo vedere ai ragazzi, presentandolo come un film che non si può non vedere almeno tre volte nella vita :)

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