martedì 1 marzo 2011

"The Fighter" di David O. Russell


Ha avuto una lunga gestazione The Fighter. Nel 2007 Mark Whalberg, appassionato di boxe e sponsor del progetto sin dall’inizio, durante la lavorazione di The Departed propose a Martin Scorsese di dirigerlo. Il grande regista italoamericano, però, declinò l’invito dicendosi disinteressato a firmare un altro film sul mondo della boxe dopo Toro Scatenato. La produzione ingaggiò allora Darren Aronofsky, in questi giorni nella sale con lo straordinario Il cigno nero, il quale però si tirò indietro poco prima delle riprese per dedicarsi a un remake di Robocop che non ha più visto la luce. Il talentuoso cineasta newyorchese decise poi di dedicarsi a The Wrestler (Leone d’Oro a Venezia 2008), rimanendo legato al progetto esclusivamente in qualità di produttore esecutivo. E The Fighter venne così affidato definitivamente a David O. Russell, ben visto sia da Aronofsky che da Whalberg e Bale.

Dopo le bizzarre commedie indipendenti Amori e disastri e Le strane coincidenze della vita e l'atipico war-movie Three Kings, parodico e mordace, alla sua prima esperienza con un tipo di cinema più classico Russell ha fatto subito centro, dirigendo con maestria un’opera rigorosa ma al contempo stimolante sul piano formale e molto intensa dal punto di vista emotivo. Grazie all’ottima sceneggiatura di Scott Silver, Paul Tamasy e Eric Johnson, capace di alternare assai felicemente il registro drammatico e quello più proprio della commedia, The Fighter racconta senza infingimenti ed evitando ogni tipo di retorica la vera storia di Mick Ward, pugile che tenta di imporsi nel mondo professionistico con l’aiuto dell’inaffidabile fratello Dickey, ex promessa della boxe rovinatasi a causa della dipendenza dal crack, e della ingombrante madre manager.


Più che un film sul pugilato, The Fighter è la storia di una famiglia del Massachusetts unita da rapporti complessi ed irrisolti. La pellicola, difatti, si concentra molto più sui contrastanti sentimenti che legano i protagonisti piuttosto che sui combattimenti, dando un’enfasi assai ridotta alle poche scene d’azione sul ring (basti pensare a come vengono liquidate in poco tempo e alla regia misurata che viene adottata nei frangenti degli incontri). La bella scena finale è l’esempio più lampante di quanto stiamo dicendo e allo stesso tempo ben simboleggia l’approccio essenzialmente antiretorico dell’intera pellicola.
Le interpretazioni di tutto il cast sono di ottimo livello, da Mark Wahlberg (che dimostra ancora una volta di essere un buon attore se assistito da uno script all’altezza) a Amy Adams, passando per la sempre convincente ma poco nota Melissa Leo  e l’eccezionale Christian Bale, in stato di grazia nei panni del tossico Dickey. Gli ultimi due nella notte di domenica si sono meritatamente portati a casa rispettivamente l’Oscar come miglior attrice e miglior attore non protagonisti.

Pubblicato su cinemartmagazine

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