Bruno
Michelucci (Valerio Mastandrea) è un introverso insegnante di un istituto
alberghiero insoddisfatto e profondamente insicuro di sé. Trasferitosi ancora
giovane a Milano, ha sostanzialmente deciso di chiudere i rapporti con la
propria famiglia, nella quale si sentiva soffocato per le ingombranti figure
dei genitori. Da una parte un padre rigido, possessivo e violento che ha
cacciato di casa moglie e figli (Sergio Albelli), dall’altra una madre bella,
espansiva, per molti aspetti ingenua, tuttavia forte e amorevole, costretta a numerosi
sacrifici per garantirgli una vita il più possibile serena (Micaela Ramazzotti
da giovane, Stefania Sandrelli da anziana).
Bruno non ha mai avuto la forza necessaria per affrontare adeguatamente i problemi legati al proprio traumatico processo di crescita, ma quando la sorella più piccola (Claudia Pandolfi) lo raggiunge a Milano per comunicargli che la loro madre, affetta da tumore, è ormai nella fase terminale, si fa convincere a tornare dopo molti anni nella città natale, quella Livorno dalla quale a suo tempo era fuggito. Ritrovandosi nei luoghi dove è cresciuto e riallacciando i rapporti con la madre morente e la sorella, lasciate sole senza spiegazioni, inizia un malinconico e sofferto viaggio interiore che lo condurrà a rivivere alcuni momenti del proprio passato che aveva vanamente cercato di lasciarsi alle spalle.
Bruno non ha mai avuto la forza necessaria per affrontare adeguatamente i problemi legati al proprio traumatico processo di crescita, ma quando la sorella più piccola (Claudia Pandolfi) lo raggiunge a Milano per comunicargli che la loro madre, affetta da tumore, è ormai nella fase terminale, si fa convincere a tornare dopo molti anni nella città natale, quella Livorno dalla quale a suo tempo era fuggito. Ritrovandosi nei luoghi dove è cresciuto e riallacciando i rapporti con la madre morente e la sorella, lasciate sole senza spiegazioni, inizia un malinconico e sofferto viaggio interiore che lo condurrà a rivivere alcuni momenti del proprio passato che aveva vanamente cercato di lasciarsi alle spalle.
Coadiuvato
dagli sceneggiatori Francesco Bruni, suo abituale collaboratore, e Francesco
Piccolo (My Name is Tanino,
2002; Il caimano, 2006; Giorni e nuvole, 2007; Caos calmo, 2008; Habemus Papam, 2011), entrambi
autori con il cineasta livornese tanto del soggetto quanto del raffinato
copione, Paolo Virzì al suo nono lungometraggio di finzione dà vita a quella
che finora pare la sua opera più matura e intensa. La prima cosa bella (2010), infatti, fonde con abilità fuori
dal comune i registri della commedia e del dramma e alterna sistematicamente,
con senso del ritmo ed efficacia drammaturgica notevoli, i due differenti piani
temporali di riferimento.
Alimentandosi di continui rimandi tra il presente, in
cui Bruno si riavvicina con difficoltà alla madre e alla sorella, e il passato
familiare segnato da incomprensioni ed eventi da lui mai davvero elaborati, il
lavoro di Virzì si rivela capace di rappresentare in profondità gli sfaccettati
rapporti che legano i vari personaggi. A ciò concorrono senz’altro le ispirate
interpretazioni di tutti gli attori principali (si pensi in primis a
Mastandrea, Ramazzotti e Sandrelli), i quali riescono a dare forma con toccante
umanità alle contraddittorie tensioni emotive presenti nella famiglia
Michelucci.
Pertanto,
anche in virtù di una regia misurata sempre funzionale alle esigenze della
diegesi, La prima cosa bella si
configura come un vibrante e sincero racconto intimista che fa riflettere con
grazia e lucidità sul fondamentale ruolo ricoperto, nello sviluppo della
personalità di ogni singolo individuo, dalle complesse dinamiche regolanti i
rapporti interni al nucleo familiare di origine.
Articolo pubblicato nel numero 9 dei «Quaderni del CSCI» - Rivista annuale di cinema italiano (2013)
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