venerdì 8 ottobre 2010

"Miami Vice" di Michael Mann


Sullo sfondo di una Miami notturna mai così malinconica e disincantata, due agenti speciali del Miami-Dade Police Department si ritrovano sotto copertura a dover far luce su un importante traffico di droga che parte dal Sud America con destinazione Stati Uniti. Come si può facilmente intuire, la storia non rappresenta niente di nuovo. Eppure Miami Vice è un action movie teso e adrenalinico come pochi nelle ultime stagioni cinematografiche, essendo allo stesso tempo più che solido dal punto di vista narrativo e, a differenza della stragrande maggioranza dei film del suo stesso genere, in grado di mettere in campo con decisione una sua anima di fondo.

Michael Mann infatti, oltre a confermarsi sopraffino regista di sequenze d'azione, non rinuncia neanche questa volta ad indagare l'universo privato e sentimentale dei suoi personaggi. Alcune delle sequenze che narrano il coinvolgimento tra le due coppie protagoniste sono intense e sapientemente intrecciate con l'evolversi della trama principale. Sonny (un Colin Farrell qui particolarmente espressivo) e Rico (il fido Jamie Foxx) sono prima di tutto degli esseri umani, ancor prima che abili e scaltri agenti di polizia. Stranamente questo aspetto “umano”, vera e propria costante della poetica manniana, sembra mancare (o perlomeno non si palesa ai livelli di straordinaria efficacia delle sue opere precedenti) nell'ultimo Nemico Pubblico, il gangster movie uscito lo scorso novembre con protagonista Johnny Depp nei panni di John Dillinger.

In ogni caso, il regista impostosi all'attenzione della critica nel 1986 con Manhunter - Frammenti di un omicidio, è oramai da Heat - La sfida (1995) che porta avanti un personale e definito percorso autoriale che assume i tratti complessi di una vera e propria “missione”: dare profondità e consistenza al film d'azione, attuandone un significativo processo di nobilitazione (oltra al già citato Heat – La sfida e naturalmente a Miami Vice, si pensi anche all'ottimo Collateral). Quando poi negli ultimi anni ha cambiato registro optando per il bio-pic (Alì, 2001) o per il film di denuncia (Insider, 1999), ha almeno nel primo caso sfiorato il capolavoro.

Davvero straordinaria la sequenza d'apertura e, ancor di più, quella magica di chiusura, che trae energia e forza inusitate da un montaggio alternato che presenta un vero e proprio doppio finale confluente infine in uno solo. Sì signori, Michael Mann è l'incontrastato re dei registi dei film d'azione. Di questi tempi purtroppo ce ne sono in giro molti (il primo è il pessimo Michael Bay, da alcuni considerato persino un autore) che fanno dell'azione niente più che confusione e sterile (nonché cattivo) esercizio di regia. Mann è al contrario l'esempio principe delle potenzialità insite oggi in un action movie costruito ad arte e che abbia anche qualcosa da dire. Come muove la macchina da presa il cineasta di Chicago, in perfetta simbiosi con musica (chi non ricorda l'utilizzo della voce di Chris Cornell in Collateral?) e movimento degli attori in scena, non c'è nessun altro. Solo Kathryn Bigelow e James Cameron (con i due Terminator e Aliens – Scontro finale) in questi ultimi anni sono forse riusciti con una certa continuità ad essere alla sua altezza. Felicissimo l'uso del digitale HD (altra “missione” dell'ultimo Mann), che inevitabilmente conferisce all'opera maggiore immediatezza e ruvidezza.

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