Nonostante la
giovane età, Alessandro D’Ambrosi si divide ormai da un decennio tra
televisione, cinema, teatro, serie web e pubblicità. Nella nostra
chiacchierata, ci svela la sua ricetta per provare ad andare avanti nel mondo
dello spettacolo: unirsi in gruppo e condividere i propri progetti.
Noto
al grande pubblico televisivo per essere dal 2009 il volto del dottor Davide
Orsini di Un medico in famiglia, il
ventinovenne romano Alessandro D’Ambrosi ha iniziato a lavorare molto presto, appena
finito il liceo, con la conduzione per tre stagioni consecutive del programma
per bambini di RaiSat Ragazzi “Giga”. Dopo aver frequentato diversi seminari e
workshop intensivi di recitazione, laboratori teatrali di scrittura e analisi
del testo, negli anni ha lavorato come attore, sceneggiatore, regista, autore. E oggi anche come insegnante di un corso di filmmaking per i liceali dell’Istituto Massimo
di Roma. Nel 2007 ha fondato insieme a Santa De Santis
l’associazione “Ali di Sale”, attraverso la quale produce alcuni dei suoi
numerosi progetti. Ed è in questo contesto che è nato Nostos (2012), dramma onirico ed evocativo ambientato nella seconda
guerra mondiale all’indomani dell'8 settembre del 1943.
Interpretato
da Corrado Fortuna, l’intenso cortometraggio è stato scritto, diretto, prodotto
da Alessandro e Santa, che abbiamo incontrato nella loro accogliente casa di
Trastevere, dove vivono e lavorano in compagnia di un mite e
pigro gatto grigio.
Come nasce
l’idea alla base di Nostos?
Io
e Santa ci siamo ritrovati nei luoghi in cui poi avremmo girato il corto, Sant’Angelo
a Fasanella, i Monti Alburni e il Parco Nazionale del Cilento, grazie all’invito
di un piccolo festival organizzato da un nostro amico. Lì sono emerse le storie di uomini di quelle terre che, dopo l’Armistizio, avevano iniziato un lungo viaggio attraverso l’Italia per tornare a casa. Quei
luoghi e alcune di queste esperienze raccontateci, uniti alla volontà di privilegiare
un’ambientazione naturalistica, ci hanno spinti a sviluppare la storia di Nostos, il cui soggetto è stato scritto di
getto, in un’ora e mezza, su un foglietto di carta. Volevamo affrontare i temi
del viaggio e del dolore che ogni guerra comporta, lavorando oltre i limiti imposti da una rappresentazione realistica.
Sul piano
formale mi ha molto colpito l’utilizzo che si fa nel corto, proprio per
sottolinearne la forte dimensione onirica, delle dissolvenze e dei simboli.
Ci
piaceva l’idea, nel legare una scena all’altra, di ricorrere alla dissolvenza
per esprimere quella rarefazione dei confini che è tipica dei sogni. E anche il
simbolo, inteso come rimando e figura di mediazione, è stato senz’altro un
elemento fondamentale nel nostro processo di scrittura.
Aggiunge Santa De Santis: «In effetti abbiamo lavorato molto sui
simboli e sulle dissolvenze con incroci di piani e situazioni. In una delle
prime scene il protagonista, subito dopo l’atto catartico del bagno nella vasca
e quello purificatore del taglio della barba, spara alla porta convinto che un
nemico stia per entrare. Quello che sta facendo, in realtà, è rimandare il
proprio risveglio che non vuole ancora affrontare. E alla scena successiva
dell’incontro con la donna, ci si arriva attraverso un passaggio in dissolvenza
dalla luce che entra dal buco nella porta, causato dallo sparo, all’immagine
del sole che illumina l’ambiente naturale». «Trovo che i simboli siano
importantissimi nel cinema», continua Santa nel suo ragionamento, «in quanto
permettono di lavorare su più livelli di interpretazione e arrivano alla pancia
del pubblico anche se non si riesce a decifrarli immediatamente».
Dopo il successo
di Nostos, proiettato in oltre 150 festival
di cortometraggi di tutto il mondo e vincitore di molti premi, quali sono i prossimi
progetti?
I
progetti in cantiere sono molti. Realizzeremo a breve un corto, Buffet, con il sostegno del Nuovo IMAIE, una parodia grottesca sull’Italia di oggi e che dirigeremo insieme.
Faranno parte del cast ben venticinque attori, tra cui alcuni noti interpreti del cinema e del teatro italiano. Ci è già stato comunicato di essere finanziabili e ora siamo in attesa
di conoscere l’entità del finanziamento. C’è inoltre un altro progetto che
seguiremo come registi, propostoci da Francesco Maria Cordella e Carmen Di Marzo, che racconta la vera storia del rapporto tra Mussolini e Nenni quando
entrambi si trovarono in esilio a Ponza. Stiamo scrivendo anche un lungometraggio,
una commedia surreale su un precario e cinque fantasmi del Verano il cui titolo
provvisorio è R.I.P.. Poi c’è un
altro film al quale siamo molto affezionati, sul mondo degli ipovedenti e dei
non vedenti, che dovrebbe intitolarsi Fin
dove arriva lo sguardo. È la storia di tre universitari che convivono e che,
per evitare uno sfratto, fanno in modo che uno di loro si finga cieco. Si
tratta di una commedia degli equivoci sulla precarietà prima di tutto
affettiva, oltre che abitativa ed economica, sulla difficoltà di trovare il
proprio posto nel mondo e sulla necessità di cercarselo.
Per i giovani oggi
lavorare nel mondo del cinema è senz’altro complicato. Qual è il modo migliore per
tentare di ovviare alle molte difficoltà che si incontrano se si vuole
realizzare le proprie idee?
La
creatività e il talento si sprigionano soprattutto in atmosfere in cui ci si
sente liberi, capiti e protetti. In Italia mancano strutture che proteggano e
stimolino questi contesti; ciò può scoraggiare e induce
molti professionisti che meriterebbero tutta la fortuna del mondo a mollare,
dopo anni di delusioni e frustrazioni. Io e Santa per realizzare Nostos ci siamo dovuti occupare, oltre
che della scrittura e della regia, anche della ricerca di finanziamenti e della
produzione. Da soli non ce l’avremmo mai fatta, ci siamo riusciti solo sostenendoci
a vicenda. Per ovviare alla mancanza di adeguate strutture di sostegno, sia
statali che private, diventa essenziale incentivare la formazione di gruppi di
lavoro composti da persone di cui ci si fida e che si stima, con cui respirare
una comunità di intenti e condividere i propri progetti per promuoverli e realizzarli
tutti insieme, scambiandosi anche di ruolo di progetto in progetto.
Articolo pubblicato nel numero 9 di Fabrique du Cinéma (Primavera 2015)
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