Litri di sangue che allagano il set fino a colpire la macchina da presa e a “impallare” il punto di vista dello spettatore come fossimo in un cruento videogame, tanta azione, nessun momento riflessivo e, strano a dirsi per un film di Quentin Tarantino, poche parole (l'intera seconda parte del film è dedicata alla lotta di Black Mamba/Uma Thurman contro il boss della Yakuza Lucy Liu e il suo temibile entourage). Delle lunghe e davvero ben scritte chiacchierate tra i personaggi de Le Iene, Pulp Fiction o Jackie Brown, con tanto di dissertazioni surreali su hamburger, dischi musicali e cultura pop in generale, rimane ben poco. Non mancherà comunque l'occasione per il riscatto, da questo punto di vista, nel volume 2 di Kill Bill: chi non ricorda infatti il discorso di Bill a Black Mamba sulla differente filosofia alla base di Superman e Spiderman?
In Kill Bill vol. 1, il primo episodio di un dittico che il regista avrebbe voluto presentare nelle sale in un unico film, Tarantino si diverte a giocare con molte delle possibilità espressive offerte dal cinema (passaggio dal bianco e nero al colore, uso dello split-screen o delle figure umane come silhouettes, ricorso ad un inserto animato). L'obiettivo dichiarato, come ci sembra sia in tutto il resto del suo cinema, è quello di divertire e divertirsi senza tante pretese, offrendo una gamma sterminata di suggestive soluzioni visive che non possono non ammaliare anche lo spettatore più scettico. La semplice storia della vendetta di una Uma Thurman miracolosamente scampata ad uno sterminio in cui sono stati uccisi, nel giorno delle prove del suo matrimonio, sposo e tutti gli invitati, è raccontata con un gusto estetico eccitante e fuori dal comune. Chi cerca in Tarantino qualcosa che vada oltre la forma e la potente rielaborazione personale di un certo cinema, probabilmente non ha capito bene con che regista ha a che fare. Ma in fondo ci va già più che bene così.
Articolo pubblicato su moviesushi
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