Mostrato alla stampa questa mattina insieme al deludente The Canyons di Paul Schrader, Joe di David Gordon Green è complessivamente l’opera più convincente tra le quattro sinora presentate in concorso in questa 70a edizione del Festival di Venezia, avviatasi ufficialmente due giorni fa con il film d’apertura fuori concorso Gravity.
Gli altri tre film in gara per il Leone d’oro, infatti, si sono per differenti motivi rivelati non completamente riusciti: il sufficiente ma abbastanza piatto e tutto fuorché indimenticabile Tracks di John Curran, l’incompiuto Via Castella Bandiera di Emma Dante, che ha alcuni momenti interessanti dal punto di vista tecnico (regia e fotografia) ma lascia più di qualche interrogativo sul senso generale dell'operazione, e l’ostico The Police Officer’s Wife di Philip Gröning, lacerante dramma familiare costruito in modo molto affascinante per frammenti insolitamente brevi (è suddiviso addirittura in 59 capitoli, con tanto di didascalie che lungo le tre ore di durata avvisano lo spettatore tanto dell’inizio quanto della fine di ogni episodio!) contraddistinto però da una certa autocompiaciuta pretenziosità di fondo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Larry Brown e sceneggiato con mestiere da Gary Hawkins (autore nel 2008 di un documentario intitolato The Rough South of Larry Brown dedicato proprio allo scrittore deceduto nel 2004), Joe è ambientato sullo sfondo di un’America profonda in cui degrado e violenza regnano incontrastate e si concentra sul rapporto tra un ex detenuto solo e insoddisfatto della propria vita che si sforza per tenere a bada la propria indole manesca (Nicolas Cage) e un ragazzo di 15 anni alle prese con un padre alcolista totalmente fuori controllo (Tye Sheridan, già visto nel capolavoro di Terrence Malick The Tree of Life).
Pur non essendo particolarmente profondo
e per quanto il suo punto di forza non sia certo l'originalità, il nuovo lavoro di David Gordon Green – prolifico regista
trentottenne nordamericano, vincitore qualche mese fa dell’Orso d’argento per la
miglior regia con Prince Avalanche ma anche autore di alcune commedie
demenziali di scarso interesse come Sua Maestà
e Lo spaventapassere (entrambe del
2011) – è un riuscito dramma che si
segnala per la solidità dell’impianto
narrativo, la regia priva di
fronzoli sempre funzionale alle esigenze della diegesi e le convincenti interpretazioni offerte dai
protagonisti (ancora una volta Nicolas Cage dimostra di essere un bravo
attore, se supportato da una buona sceneggiatura).
In attesa di vedere domani i film in concorso di Stephen Frears (Philomena), James Franco (Child of God) e Hayao Miyazaki (The Wind Rises), stasera sarà proiettato Night Moves di Kelly Reichardt, tornata al Lido tre anni dopo la presentazione in concorso di Meek's Cutoff.
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