Al sesto
giorno di programmazione, entrati ormai nella seconda metà della 70a edizione
del Festival di Venezia, Philomena di
Stephen Frears (nell’articolo qui sotto trovate la mia recensione) continua ad
essere di gran lunga la pellicola più significativa
tra quelle viste in concorso. Ad eccezione dell’assai crudo e formalmente intrigante ritratto
familiare di Miss Violence del greco
Alexandros Avranas, nessuna delle opere in competizione per il Leone d’oro
presentate negli ultimi due giorni ha davvero convinto.
Tanto Night Moves di Kelly Reichardt, esasperante per la lentezza fine a se stessa della narrazione, quanto il visivamente affascinante ma tutto sommato poco incisivo The Wind Rises di Hayao Miyazaki – il meno riuscito degli ultimi lavori del maestro giapponese dell'animazione che ieri, a 72 anni, ha comunicato il ritiro dal cinema – in differenti modi non hanno lasciato il segno, così come d'altronde gli altri tre film statunitensi Child of God di James Franco, The Zero Theorem di Terry Gilliam e Parkland di Peter Landesman.
Se del film di Franco, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCharty, rimane soprattutto la buona interpretazione dell’attore protagonista Scott Haze e il deludente film di fantascienza di Gilliam presenta alcuni momenti degni di nota (in particolare quando si concentra sul rapporto tra Christoph Waltz e Mélanie Thierry), il film di Landesman dedicato all’omicidio di John Fitzgerald Kennedy risulta del tutto privo di interesse. La regia e la sceneggiatura sono piatte e, in un contesto simile, le stesse interpretazioni degli attori finiscono per risentire della generale mancanza di ispirazione. Evitando di soffermarsi sull'inadeguatezza di Zac Efron, che pure l'anno scorso proprio qui a Venezia non aveva affatto sfigurato in At Any Price, anche ottimi attori come Paul Giamatti, Billy Bob Thornton e Jacki Weaver non riescono a risollevare un film che non avrebbe in alcun modo meritato di essere in concorso.
Tom at the Farm del ventiquattrenne canadese Xavier Dolan invece, dopo un'ottima prima parte tesa e coinvolgente, in cui viene abilmente delineata un'atmosfera di crescente inquietudine, si perde in una deriva onirica pretenziosa e fastidiosamente autocompiaciuta che compromette decisamente la riuscita finale del film.
In attesa della proiezione serale di Ana Arabia di Amos Gitai, a questo punto non resta che aspettare di vedere nei prossimi tre giorni gli attesi nuovi lavori di Errol Morris (The Unknown Known), Gianni Amelio (L’intrepido), Philippe Garrel (La jalousie) e Gianfranco Rosi (Sacro GRA).
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