Dopo aver di recente girato due interessanti cortometraggi esteticamente molto curati, la
ventiquattrenne Francesca Marino ha ideato una spassosa webserie e sogna di
girare la sua opera prima con Lorenzo Richelmy.
Entrata
al corso di regia del Centro Sperimentale a soli 20 anni, Francesca Marino si è
diplomata pochi mesi fa e, nonostante la giovane età, è già da molto che porta
avanti contemporaneamente le sue due grandi passioni, entrambe legate a doppio
filo al lavoro sull’immagine: la fotografia e la regia. Se come fotografa è
affascinata dalle possibilità espressive insite nei ritratti e realizza in
particolare book fotografici per attori, come regista sta iniziando a farsi notare
per un particolare sguardo in cui convivono una regia dinamica (che si alimenta
di piani sequenza, ralenti e suggestivi
avvicinamenti della macchina da presa ai volti degli attori) e una forte componente
emotiva che emerge tanto dallo stile quanto dallo sviluppo narrativo.
L’incontro tra dinamicità della messa in scena e attenzione per i rapporti umani – evidente nei cortometraggi Knockout (2013) e L’uomo senza paura (2014) – sembra il tratto distintivo di Francesca, amante del cinema d’azione e di genere ma anche attratta da personaggi oscuri e problematici.
Trovo interessante la tua passione per i piani sequenza e i ciak lunghi. In fondo, rappresentare la dimensione temporale nella sua estensione, è proprio ciò a cui i fotografi non possono aspirare.
Esattamente.
In più, uno dei motivi per cui ricorro spesso a questo tipo di ripresa è la mia
passione per gli attori. Il piano sequenza o il ciak lungo, oltre a valorizzare
un movimento di macchina e a essere una scelta stilistica virtuosa, è anche funzionale
ad esaltare le interpretazioni. Per esempio, il piano sequenza de L’uomo senza paura in cui padre e figlio
sono in macchina, l’ho proprio pensato come un regalo ai due attori. Nonostante
avessi coperto la scena con primi piani, piani a due e inquadrature
dall’interno del veicolo, in fase di montaggio ho poi deciso di non proporre
alcuno stacco per lasciare spazio alle loro performance. Il piano sequenza di
cui vado più fiera, comunque, è quello di Knockout,
in cui seguo Lorenzo Richelmy per quasi quattro minuti dall’arrivo al parchetto
in motorino, fino alla sua ripartenza.
Sia per il tema
trattato che per la struttura narrativa, Knockout
mi ha ricordato molto un altro tuo precedente corto, L’incontro.
L’incontro è il mio corto
di ammissione al Centro Sperimentale ed effettivamente è costruito in maniera
molto simile a Knockout. Dopo aver
affrontato con il primo la violenza sulle donne, desideravo raccontare anche la
storia di una violenza sessuale subìta da un uomo. Lo spunto per raccontare entrambe
le storie nasce dal romanzo di Alice Sebold
Amabili resti, ma l’idea di Knockout
ha preso vita solo dopo aver letto un articolo in cui si diceva di come la violenza
sull’uomo venga accettata in maniera diversa dalla società perché si pensa che i
maschi siano capaci di difendersi, e dunque non sarebbero davvero vittime. Mi
interessava riflettere sul tema della crisi della virilità e poi naturalmente,
dal punto di vista drammaturgico, ho sfruttato il fatto che il protagonista volesse
mantenere il segreto sul suo trauma.
Guardando i tuoi
lavori, si nota subito una grande attenzione per la messa in scena. L’evidente componente
energetica della regia mi ha in alcuni fatto pensare al cinema di Kathryn
Bigelow. Quali sono i tuoi registi di riferimento?
Sono
molto attratta dal cinema d’azione. Ti potrei fare tanti nomi di registi che mi
piacciono ma, da questo punto di vista, uno dei miei preferiti è senz’altro Tony
Scott. In particolare, adoro Man on Fire
con Denzel Washington e Dakota Fanning. Sogno di girare un action movie, ma sono consapevole che in Italia è difficile trovare
i soldi per farlo bene e allora, più realisticamente, punto a un cinema di
genere. È curioso che citi proprio Kathryn Bigelow, perché in effetti Daniele
Luchetti, il mio insegnante del Centro, una volta mi disse che avevo un modo di
girare simile al suo. In particolare, della Bigelow mi piace tantissimo l’utilizzo
dello zoom, una figura stilistica molto poco sfruttata in Italia.
Quali sono i
tuoi progetti futuri?
Il
mio principale obiettivo è quello di esordire il prima possibile nel
lungometraggio. Ho un trattamento che è stato da poco sottoposto all’attenzione
di diverse produzioni, tra cui anche la Rai. Per ora preferisco non svelare la
storia del film, così come il titolo. Posso dire però che si tratta di una
storia romantica inserita all’interno di una cornice thriller dalle atmosfere
hitchcockiane. Come tono, mi sono ispirata al giallo svedese e al modo in cui in
questo tipo di romanzi il genere viene utilizzato per far riflettere su molti
altri temi. Il trattamento l’ho fatto leggere a Lorenzo Richelmy, con il quale oltre
che per Knockout ho collaborato anche
per diversi servizi fotografici. Il progetto gli è piaciuto molto e gli
piacerebbe farne parte. Certo, sempre che il film si riesca a fare, c’è anche
da considerare che la carriera di Lorenzo è in un momento di svolta e credo che
lui debba ancora decidere con che cosa ricominciare in Italia dopo la
straordinaria avventura del Marco Polo.
Oltre alla tua
opera prima, stai lavorando a qualcos’altro?
Sì,
nel frattempo ho girato due puntate pilota di Unisex, una webserie che non ha nulla a che vedere con Knockout, L’uomo senza paura o L’incontro.
Il registro è quello della commedia ed è tutta strutturata sotto forma di
interviste a diversi personaggi, intervallate da scenette che mostrano quanto
viene detto. C’è il timido, il sensibile, il palestrato, la romantica, la
femminista, e così via. Ognuno di loro affronta temi che in un certo senso
permettono al mondo maschile e a quello femminile di incontrarsi. Tra gli
altri, ad esempio, ci sono un episodio dedicato alla tecniche per toccare le
tette alle ragazze senza rischiare di essere presi a schiaffi e un altro che propone
strategie di pedinamento per scoprire se un uomo ti sta tradendo. Ho proposto la
webserie a Rai Fiction e sono in attesa di una risposta. La mia intenzione è
quella di trovare una produzione che acquisti il format, oppure paghi lo
sviluppo o la distribuzione. Se non dovessi riuscirci, proverei comunque a fare
tutto da sola, perché credo nell’idea e la trovo molto divertente.
Articolo pubblicato nel numero 8 di Fabrique du
Cinéma (Inverno 2014)
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