In
un torrido pomeriggio romano, Gianclaudio Cappai ci ha parlato di Senza
lasciare traccia, il suo interessante esordio dietro la
macchina da presa uscito nei cinema a metà aprile.
Dopo
un cortometraggio vincitore al Festival di Torino del concorso
dedicato al cinema breve (Purché lo senta sepolto, 2006) e
un'opera di finzione di trenta minuti presentata nella sezione “Corto
Cortissimo” della 66a edizione del Festival di Venezia (So che
c'è un uomo, 2009), Gianclaudio
Cappai lavorava da qualche anno alla realizzazione del suo primo
lungometraggio. Senza lasciare traccia
conferma il talento per la messa in scena del quarantenne regista
sardo e si avvale di un cast affiatato e di ottimo livello composto
da Michele Riondino, Valentina Cervi, Vitaliano Trevisan, Elena
Radonicich e Fabrizio Ferracane.
Prodotta dalla società fondata nel
2009 dallo stesso regista e sceneggiatore, la Hira Film, l'opera
prima è ambientata in una località rurale in provincia di Lodi e
affronta i tormenti di un giovane uomo che improvvisamente si ritrova
immerso nei meandri del proprio passato. Perché come scriveva
Shakespeare ne Il mercante di Venezia,
le cui parole sono state poi riprese al cinema in Magnolia nel 1999,
“possiamo chiudere con il passato, ma il passato non
chiude con noi”.
Tutti i tuoi lavori
ruotano attorno a traumi che condizionano pesantemente il presente
dei protagonisti. Cos'è che ti interessa nello sviluppare questo
tema?
In effetti Senza
lasciare traccia può essere considerata l'ultima parte di una
trilogia che ha come focus proprio quanto hai appena detto. Di sicuro
c'è da parte mia l'interesse di indagare il modo in cui la malattia
influenza non solo chi ne è affetto, ma anche coloro che gli vivono
vicino. Rispetto alle mie due opere precedenti, in questo film ho
cercato di focalizzarmi sulla percezione soggettiva del protagonista:
Bruno infatti si convince che il suo tumore sia strettamente
collegato a un passato traumatico che non ha mai raccontato a
nessuno. In fase di scrittura, con la co-sceneggiatrice Lea Tafuri
eravamo molto intrigati da questo spunto narrativo, ispirato
all'esperienza personale di una nostra amica. Era necessario però
inserirlo all'interno di una drammaturgia di finzione e così abbiamo
cercato di sviluppare un percorso a ritroso nel passato di Bruno,
come fosse una sorta di viaggio esistenziale nell'arco di una sola
giornata.
Proprio a proposito
della struttura del film, alcuni passaggi tra le dimensioni del
passato e del presente sono molto suggestivi. Era già tutto
preventivato in fase di scrittura?
In questo contesto la
fase di montaggio è stata fondamentale. In sceneggiatura i flashback
erano molto più descrittivi e carichi di informazioni sul passato
(era molto più chiaro il rapporto di inquietante complicità tra la
bambina e il fuochista, così come il passato di Vera e del padre) e
si concentravano nella parte iniziale. Al montaggio poi li abbiamo
asciugati e frammentati lungo tutto l'arco del film. Il racconto più
dettagliato del passato aveva certamente i suoi punti di forza, ma
toglieva mistero ai personaggi ed efficacia allo sviluppo narrativo
in termini di coinvolgimento emotivo. Così con Lea e il montatore
Alessio Doglione abbiamo scelto di andare in questa direzione
confidando nel fatto che sarebbe stato il pubblico, seguendo il
percorso di Bruno, a mettere a posto i vari tasselli del puzzle. In
tal modo credo che il film sia divenuto più enigmatico, rarefatto e
interessante.
Sul piano visivo Senza
lasciare traccia ha l'indubbia capacità di creare una costante
atmosfera di tensione. Come hai lavorato sulla messa in scena e a che
tipo di estetica cinematografica ti sei ispirato?
Dal punto di vista visivo
ero alla ricerca di qualcosa che mi ricordasse la New Hollywood
statunitense degli anni Settanta. Il mio punto di riferimento era il
cinema di registi come Robert Altman o Michael Cimino. Alcuni tra i
primi lavori di questi due registi – per Altman penso soprattutto a
Images, Il lungo addio e Tre donne –
presentano storie molto potenti che fanno leva su una notevole messa
in scena, rigorosa ma allo stesso tempo fluida, mobile e soprattutto
furtiva. Da questi film per esempio abbiamo preso l'attitudine
all'utilizzo di focali lunghissime per le riprese. Adottando uno
stile del genere volevo affinare ed esplorare in maggiore profondità
una serie di scelte espressive cui avevo già fatto ricorso nei miei
precedenti lavori.
Sei riuscito a
produrre il film con la tua società, senza l'aiuto di altri
produttori. Come ci sei riuscito?
Dopo aver rinunciato ad
alcuni progetti più costosi a causa del mancato accordo con dei
produttori, per questo film avevamo dei punti su cui non transigevamo
e che sapevamo avrebbero infastidito i nostri interlocutori: girare
fuori Roma per sfruttare le location più adatte, realizzare il film
in 16 mm e in non meno di sei settimane. Di conseguenza, occuparci
della produzione è divenuta l'unica via ed è stato possibile grazie
all'ottenimento di finanziamenti provenienti dalla Regione Lombardia
e da altri bandi. Trovare i soldi è stato senz'altro complicato, ma
in questi casi non è da sottovalutare neppure la difficoltà
nell'individuare un arco di tempo in cui il cast artistico su cui si
vuole puntare sia disponibile. Può forse sembrare assurdo, ma spesso
i film slittano e poi non si fanno più proprio per questo motivo.
Appena abbiamo potuto contare sulla disponibilità di tutti gli
attori principali siamo così partiti con la preparazione del film,
anche se avevamo a disposizione meno della metà del budget
necessario. Durante la preparazione poi abbiamo continuato
parallelamente la ricerca dei fondi. Alla fine è andato tutto bene e
questo doppio binario ha funzionato in maniera perfetta.
Hai già in mente
quale sarà il tuo prossimo film?
In questi mesi sono
ancora impegnato ad accompagnare Senza lasciare traccia in
tutte le città in cui viene richiesto. Per ora non riesco a isolarmi
per mettermi al lavoro su un nuovo film, ma dopo l'estate c'è tutta
l'intenzione di farlo. Ho comunque già iniziato a pensare a degli
spunti che potrebbero diventare un argomento di discussione con altri
sceneggiatori e, in particolare, ho individuato un tema che mi
intriga moltissimo. Rispetto all'esperienza fatta con il mio primo
lungometraggio vorrei però trovare qualcuno che sostenga il progetto
fin dall'inizio. Scrivere un soggetto e una sceneggiatura senza avere
già alle spalle un produttore, infatti, crea poi difficoltà
inaudite nel far partire la realizzazione del film.
Articolo pubblicato nel numero 15 di Fabrique du Cinéma (Autunno 2016)
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