venerdì 14 gennaio 2011

Vittorio De Seta e il documentario breve


Quando si pensa al linguaggio del documentario, generalmente non si prendono in considerazione le notevoli possibilità insite nel documentario a breve durata. Come detto nell’articolo dedicato al cortometraggio, quest’ultimo offre al regista l’opportunità di esprimersi limitandosi all’essenziale. 
Ma ha davvero senso tentare di raccontare un luogo o un fenomeno storico-sociale in poche decine di minuti? Certamente sì, se si decide di circoscrivere il campo di indagine a singoli frammenti della realtà che ci circonda. E la dimostrazione più lampante di ciò si può trovare nelle prime straordinarie opere di Vittorio De Seta (Palermo, 1923), grandissimo regista riconosciuto in tutto il mondo come indiscusso maestro del documentario. Tra il 1954 e il 1958, l’ottantasettenne siciliano ha girato dieci documentari brevi (della durata media di dieci minuti circa) sulla faticosa vita dei pescatori, dei minatori e dei contadini del Sud Italia. Vedendo oggi opere come Lu tempu de li pisci spata, Surfarara o Isole di fuoco (vincitore nel 1955 del premio per il miglior documentario-cortometraggio al Festival di Cannes), si ha l’impagabile possibilità di entrare in contatto con un mondo di tradizioni e valori arcaici scomparso, spazzato via dal rapido avanzare del progresso tecnologico portato in dote dal boom economico a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta. 


Il possente fascino del cinema di De Seta risiede principalmente nel fatto che in esso l’ansia del mostrare la realtà va sempre di pari passo con l’urgenza dettata dalle possibilità formalizzanti dell’immagine filmica. A tal proposito, Roberto Saviano coglie il senso più profondo della poetica desetiana quando scrive che la “struttura bicefala” delle sue opere è “capace di guardare contemporaneamente all’inferno degli umani e alla meravigliosità che emana la pulsione del vivere”, non cedendo mai né “all’informazione esclusiva” né “al gesto estetico soltanto”. D’altronde, come lo ha felicemente definito il suo grande ammiratore Martin Scorsese, De Seta non è altro che “un antropologo che si esprime con la voce di un poeta”. 

Articolo pubblicato su "Corto Magazine", il magazine della settima edizione del Festival Pontino del Cortometraggio.

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