domenica 30 gennaio 2011

"The Green Hornet" di Michel Gondry


Era senza dubbio uno dei film più attesi dell’inizio di questo nuovo anno, The Green Hornet. La curiosità circa l’apporto che Michel Gondry, fra i cineasti più visionari degli ultimi anni, avrebbe potuto dare alla causa di un blockbuster in 3D da 120 milioni di dollari dedicato al prototipo dei supereroi mascherati transmediali, nato nel 1936 per la radio e poi sviluppatosi nelle successive decadi tra televisione, cinema e fumetto, era infatti davvero molta. 
Costato poco meno del triplo di tutta la precedente filmografia di Gondry, The Green Hornet racconta la storia del fannullone Britt (Seth Rogen), unico figlio del magnate James Reid che alla morte del padre eredita l’imponente impero mediatico familiare. Incompetente e completamente inadeguato al prestigioso ruolo che si ritrova improvvisamente a ricoprire, il nostro con l’aiuto del misterioso Kato, ex meccanico personale del padre dalle molteplici e insospettabili abilità, diventa una sorta di supereroe sfigato e incapace, mosso dalla voglia di divertirsi combinando guai più che da solidi principi etico-morali.
Coadiuvato dalla sceneggiatura firmata dalla coppia formata da Seth Rogen e Evan Goldberg (la stessa degli scripts di Suxbad e Strafumati), Gondry va forse nell’unica direzione che gli era possibile percorrere in questo particolare contesto. Decide di non prendersi affatto sul serio: gioca con gli stereotipi del classico superhero-movie dilettandosi nel ribaltarli costantemente e spingendo con forza sul registro parodistico. Gondry è pur sempre Gondry, insomma, e non avrebbe certo potuto portare avanti un’operazione alla Nolan. Il risultato complessivo è un film divertente, a tratti persino esilarante, che scorre piacevolmente senza avere alcuna caduta di ritmo per le sue due ore di durata. Tra una serie di riusciti passaggi comici, è d’obbligo citare perlomeno la spassosissima sequenza di apertura che vede protagonisti il boss della malavita losangelina Benjamin Chudnofsky (l’irresistibile Cristoph Waltz nei panni del personaggio di gran lunga più interessante del film) e l’irrispettoso neocriminale James Franco.


Del Gondry cui eravamo abituati non c’è però quasi traccia, anche se il suo personale tocco si palesa felicemente in qualche momento particolarmente inventivo (la sequenza degli split-screens che si generano l’uno dall’altro o l’animazione che verso la fine del film mostra il ragionamento in progress di Britt Reid/Seth Rogen) e nel ricorso alle musiche rock dei Rolling Stones, dei White Stripes o di Johnny Cash. È inutile negare, ad ogni modo, che da un ingegnoso sperimentatore come il cineasta transalpino, anche in un ambito squisitamente commerciale come questo, era lecito aspettarsi molto di più sul piano visivo. Chi sperava in una messa in scena fantasiosa che desse nuova linfa all’estetica tipica del film di supereroi rimarrà deluso. E anche parecchio.


Altra nota dolente riguarda poi l’uso del 3D, molto scolastico e che non aggiunge praticamente nulla alle possibilità espressive di The Green Hornet. Da questo punto di vista, l’immersivo e visivamente affascinante Tron: Legacy (uscito lo scorso 29 dicembre) appartiene davvero ad un’altra categoria. La sensazione è che Gondry sia rimasto intrappolato nelle strette maglie del più classico dei film su commissione senza trovare la giusta via per imporre il proprio sguardo autoriale. Ammesso che abbia realmente sentito l’esigenza di farlo. 
A questo punto non resta che augurarsi che grazie a questo frivolo divertissement, poco più che un atipico, frizzante pop-corn movie privo di qualsivoglia pretesa artistica, il regista di Versailles riesca nell’immediato futuro ad avere carta bianca per progetti personali che siano in continuità con la propria immaginifica poetica estetica. Anche se, a ben vedere, il finora modesto risultato al botteghino statunitense (70 milioni di dollari a 15 giorni dall’uscita) potrebbe non fargli conquistare un credito di rilievo all’interno del sistema degli Studios.

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