Dopo aver concordato con Fidel Castro (la somiglianza di Démian Bichir con il politico cubano da giovane è sorprendente) la partenza e, a grandi linee, come avrebbe dovuto svilupparsi la sua azione rivoluzionaria, un Guevara opportunamente travestito da funzionario dell'Organizzazione degli Stati Americani si dirige in Bolivia per portare a compimento il proprio progetto di esportazione della rivoluzione. Qui dovrà scontrarsi con una serie innumerevole di difficoltà e complicazioni che porteranno il tentativo rivoluzionario al fallimento (come del resto era avvenuto anche in Congo qualche anno prima), prima ancora che alla sua stessa morte.
Chi si aspettava un'inversione di rotta o perlomeno un sussulto rimarrà deluso. La seconda parte dell'opera dedicata da Steven Soderbergh alla figura di Che Guevara non fa altro che riconfermare tutte le problematiche insite nel primo episodio. Come in Che – L'argentino, il regista si gioca l'attenzione dello spettatore già nell'arco dei primi venti minuti e le quasi due ore restanti sono un monocorde e piatto procedere noioso: non si approfondisce la figura umana e politica di Guevara, non si delineano veramente i suoi rapporti con Castro e i suoi ideali rivoluzionari (eccetto qualche incisiva frase sporadica presa dai suoi diari). E non ci si imbatte neppure in una dimensione funebre e problematizzante, con la quale sarebbe stato proficuo confrontarsi trattandosi della narrazione dell'ultimo intenso anno di vita di Guevara.
Chi si aspettava un'inversione di rotta o perlomeno un sussulto rimarrà deluso. La seconda parte dell'opera dedicata da Steven Soderbergh alla figura di Che Guevara non fa altro che riconfermare tutte le problematiche insite nel primo episodio. Come in Che – L'argentino, il regista si gioca l'attenzione dello spettatore già nell'arco dei primi venti minuti e le quasi due ore restanti sono un monocorde e piatto procedere noioso: non si approfondisce la figura umana e politica di Guevara, non si delineano veramente i suoi rapporti con Castro e i suoi ideali rivoluzionari (eccetto qualche incisiva frase sporadica presa dai suoi diari). E non ci si imbatte neppure in una dimensione funebre e problematizzante, con la quale sarebbe stato proficuo confrontarsi trattandosi della narrazione dell'ultimo intenso anno di vita di Guevara.
Il film va avanti per inerzia non dicendo sostanzialmente nulla e, peggio ancora visto il tema affrontato, non dando nulla: il grande fallimento di Soderbergh, che in diversi altri casi ha dimostrato di essere un abile intrattenitore (Erin Brokovich, Traffic, Ocean's Eleven, Out of Sight), sta nel non essere mai riuscito con il suo dittico a coinvolgere lo spettatore.
Il pathos nei confronti di ciò che scorre sullo schermo è dunque un miraggio lontano, e persino nella sequenza della battaglia fra le montagne, che prelude la cattura del rivoluzionario argentino, Soderbergh non riesce ad imprimere forza alla messa in scena. La regia è scialba, per nulla significativa e tutta una serie di inquadrature più o meno oblique, dall'alto (per non parlare della soggettiva di Guevara/Del Toro al momento della fucilazione), anche se cinematograficamente interessanti appaiono pretestuose, segnalando in modo particolarmente evidente la totale mancanza d'ispirazione del regista premio Oscar per Traffic. In questo Che – Guerreglia, non emerge neanche più di tanto il talento attoriale del camaleontico Benicio Del Toro, il quale, se non in un paio di circostanze, non trova l'occasione di esprimersi al meglio, ora per la regia che non lo valorizza adeguatamente ora per via dello script di Peter Buchman e Benjamin A. van deer Veen, mai incisivo e di certo spaesato di fronte alla complessità della figura del rivoluzionario.
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