Nell'ultimo decennio non v'è dubbio che l'immagine di Martin Scorsese (Flushing, Long Island, 1942), cresciuto nel cuore della Little Italy della Grande Mela, sia andata strettamente legandosi all'industria hollywoodiana. Infatti se si tralascia la produzione documentaria — The Blues: Dal Mali al Mississippi, 2003; No Direction Home: Bob Dylan, 2005; Shine a Light, 2007; oltre a Il mio viaggio in Italia del 2001, sorta di seguito all'affascinante e ricca lezione di cinema del 1995 Viaggio personale con Martin Scorsese nel cinema americano —, ci si accorge che Gangs of New York, The Aviator (2004) e The Departed (2006) sono costati mediamente 100 milioni di dollari, venendo finanziati principalmente da colossi come Miramax e/o Warner Bros.
Siamo ben lontani dunque dai tempi degli esordi, in cui si guardava un film di Scorsese e si pensava alla libertà e alla genuina creatività di John Cassavetes (lo stesso regista italo-americano ha dichiarato, a metà degli anni novanta, di aver sempre cercato fino a quel momento di unire nel suo cinema Orson Welles e il simbolo del versante finzionale del New American Cinema). E indubbiamente i budget consistenti portano in dote un bagaglio di compromessi difficili da respingere: si pensi agli ingenti tagli (ben 51 minuti!) imposti dalla produzione in Gangs of New York, che oltre a renderne la narrazione a tratti discontinua ne ritardarono l'uscita di un anno; oppure alla manifesta tendenza agiografica espressa in The Aviator, forse l'opera di Scorsese figurativamente più intensa e ispirata degli ultimi anni, in cui però non si fa alcun riferimento al notorio razzismo e antisemitismo del grande imprenditore americano.
Dai tre film appena citati, comunque, emerge con nettezza una visione cupa e desolante del mondo, e ancor prima degli uomini che lo abitano e che inesorabilmente sembrano plasmarlo a propria immagine e somiglianza: “Io non voglio essere un prodotto del mio ambiente, voglio che il mio ambiente sia un mio prodotto”, specifica in apertura di The Departed lo spavaldo boss di origini irlandesi Frank Costello, interpretato con la consueta abilità da Jack Nicholson.
E non è certo un caso che in The Departed, così come in Gangs of New York e The Aviator, le prime parole pronunciate sono sempre delle macroscopiche chiavi di lettura dell'intero film. Si pensi al flashback con cui si apre The Aviator, nel quale la madre del giovane Howard Hughes scandisce al figlio in modo quanto mai inquietante la parola quarantena, introducendo già quella fobia ossessiva legata a morbi e malattie del magnate aviatore che sarà uno dei temi portanti dell'intera pellicola. In Gangs of New York invece il prete Vallon, subito dopo aver finito di tagliarsi la barba, dice al figlioletto che sta per ripulire il sangue dalla lama utilizzata dal padre: “No figliolo, mai. Il sangue resta sulla lama. Un giorno capirai”. Come a dire che la violenza e il sangue che sono scorsi in passato rimangono intatti nella Storia. Non possono e non devono essere cancellati, anzi sarebbe di fondamentale importanza che entrassero consapevolmente a far parte della Memoria, affinché possa esistere una coscienza storica che porti gli uomini a non ripetere pedissequamente gli errori del passato.
Intorno a questo discorso, in fondo, ruota il senso macroscopico dell'ambiziosissimo film del 2002 girato a Cinecittà, dove è stata mirabilmente ricostruita dallo scenografo italiano Dante Ferretti la New York della seconda metà dell'Ottocento. Gli Stati Uniti d'America sono un grande paese sorto nel sangue e che ha continuato a seminare violenza nel corso della sua storia, ci suggerisce tra le righe Scorsese, contribuendo così a fissare il sangue sulla lama. Nella speranza (utopia?) che gli abitanti del pianeta terra riescano prima o poi a far dialogare proficuamente Storia e Memoria.
Se la logica hobbesiana dell'homo homini lupus, secondo la quale a dominare la natura dell'uomo sono prevalentemente l'istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, regna sovrana nei Five Points e lungo le strade della New York ai tempi della guerra di secessione, i quartieri della Boston dei nostri giorni (nonché il quartier generale dell'FBI) di The Departed non rappresentano poi un mondo così diverso e lontano da quello descritto in Gangs of New York. Corruzione, violenza e brama di potere sono sempre tangibilmente presenti, elementi endemici che si muovono inesorabilmente all'unisono. Come scrive Anton Giulio Mancino nel Dizionario dei registi del cinema mondiale (Einaudi, 2005), “l'America di Scorsese è un complesso territorio” che “rimanda a uno scenario cruento, realistico e involuto, dove ogni gruppo genera, a proprio arbitrio e vantaggio, violenti e conflittuali codici di comportamento”. Ed è già a partire dall'esordio di Chi sta bussando alla mia porta? (1969), prosegue Mancino, che nella filmografia scorsesiana con costante disincanto “un lucido pessimismo investe i singoli, compulsivi protagonisti”. Un pessimismo che “inoltre tocca il fondamentale modello di società tribale e conservativa (...) al quale cercano di appartenere o da cui vengono implacabilmente esclusi”.
Come si può ben vedere, è possibile individuare, nonostante siano cambiate così profondamente le dinamiche produttive alla base del suo cinema, un fil rouge tematico che lega la poetica dello Scorsese fino agli anni novanta a quella dello Scorsese degli anni duemila. Cosa penso di Shutter Island potete leggerlo cliccando qui (dall’analisi di Storia e Memoria di Gangs of New York si passa all’investigazione del Rimosso), mentre l’uscita a fine anno di Hugo Cabret potrebbe rappresentare la giusta occasione per proporvi un approfondimento dell’aspetto stilistico nel cinema di Scorsese.
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