Generalmente, nei festival cinematografici, i primi giorni di
programmazione non offrono le opere migliori tra quelle selezionate. Questa sessantanovesima
edizione veneziana, che ha avuto formalmente inizio ieri sera con la cerimonia
di apertura seguita dalla proiezione di The
Reluctant Fundamentalist di Mira Nair, non fa eccezione. Tra i film che
sinora ho avuto modo di vedere (essendo arrivato al Lido ieri pomeriggio, ho
perso la proiezione stampa mattutina del film della Nair), ce ne sono però
stati due rivelatisi per differenti motivi interessanti, entrambi fuori concorso: The Iceman di Ariel Vromen e Enzo
Avitabile Music Life di Jonathan Demme. Deludenti invece le prime due pellicole
del concorso, Izmena (Betrayal) di Kirill Serebrennikov e Superstar di Xavier Giannoli.
Qui sotto trovate
le brevi recensioni dei quattro film.
The Iceman di Ariel Vromen
Ispirato a una storia vera, il vibrante dramma dell’israeliano Vromen narra
le vicende di Richard Kuklinski (Michael Shannon), uomo dal passato tormentato e
spietato sicario al servizio del boss mafioso italo-americano Romy Demeo (Ray Liotta). Fingendosi alla
moglie (Winona Ryder) e alle due figlie un abile speculatore finanziario, guadagna
molti soldi e garantisce alla famiglia un elevato stile di vita uccidendo senza
scrupoli. Le cose sono però destinate a degenerare.
Pur non brillando particolarmente per originalità e profondità (non
scava mai davvero a fondo nella complessa psiche del personaggio principale), l’opera
è solida, ben scritta (la sceneggiatura è firmata dallo stesso regista con
Morgan Land), ha un ritmo invidiabile ed è ottimamente interpretata da tutti gli
attori principali. Oltre alla maiuscola prova di Michael Shannon, sono convincenti anche le interpretazioni di Winona Ryder, Ray Liotta e Chris Evans.
Da notare inoltre i due piccoli ma intensi ruoli affidati a James Franco e Stephen Dorff.
Enzo Avitabile Music Life di Jonathan
Demme
C’era molta curiosità per il nuovo documentario di Jonathan Demme dedicato
ad Enzo Avitabile, eccellente musicista napoletano in grado di esprimersi con ottimi risultati attraverso i più disparati generi musicali (funk, jazz, musica
per orchestra, musica popolare). Il regista statunitense noto al grande pubblico
soprattutto per i pluripremiati Il
silenzio degli innocenti (1991) e Philadelphia
(1993), che negli ultimi anni ha costantemente e felicemente alternato la
produzione di film di finzione a quella documentaria (si pensi a The Agronomist, Jimmy Carter Man From Plains, New
Home Movies from the Lower 9th Ward o ai lavori su Neil Young), firma un appassionato
ritratto che si distingue per la propria immediatezza e sincerità. Anche se forse non risulta all’altezza dei migliori documentari di Demme, Enzo Avitabile Music Life ha il grande
pregio di raccontare (peraltro in modo godibile e piuttosto affascinante)
il poliedrico talento di uno sperimentatore ancora poco noto nel contesto
italiano.
Izmena (Betrayal)
di Kirill Serebrennikov
Nonostante la regia e la fotografia siano di notevole fattura (assai
suggestivi, ad esempio, i molti lunghi movimenti di macchina) e le
interpretazioni del cast di buon livello, la prima pellicola in concorso vista quest’anno
al Lido risulta sul piano narrativo pretenziosa e irritante per come
gioca, a sproposito e in modo insistito, con espedienti quali l’ellissi temporale e il
non detto. I rapporti tra i personaggi sono nel complesso sviluppati in modo piuttosto
approssimativo e poco credibile, con risultati che non di rado sfociano nel ridicolo.
Inutile soffermarsi sulla trama di un film la cui sceneggiatura, scritta a quattro mani da Natalia Nazarova e dal regista Serebrennikov (lo stesso di Playing the Victim, vincitore al Festival di Roma del 2006 e ancora inedito in Italia), lascia ampiamente a desiderare. Basti dire che di questo confuso, ridondante e inconcludente dramma sull’attitudine degli esseri umani al tradimento non si sentiva affatto il bisogno.
Inutile soffermarsi sulla trama di un film la cui sceneggiatura, scritta a quattro mani da Natalia Nazarova e dal regista Serebrennikov (lo stesso di Playing the Victim, vincitore al Festival di Roma del 2006 e ancora inedito in Italia), lascia ampiamente a desiderare. Basti dire che di questo confuso, ridondante e inconcludente dramma sull’attitudine degli esseri umani al tradimento non si sentiva affatto il bisogno.
Superstar di Xavier Giannoli
Un uomo solitario dalla vita priva di sussulti diviene improvvisamente famoso. Ovunque
si diriga e qualsiasi cosa faccia, in metropolitana, al supermercato o per strada, viene riconosciuto. Chiunque lo insegue per avere un autografo o
per scattare una foto in sua presenza. Nel giro di poche ore il suo volto è su
tutti i giornali e siti nazionali, mentre sui vari social network impazzano commenti, video
e foto che lo riguardano.
Recentemente sviluppata con leggerezza e ironia da Woody Allen in To Rome with Love, all'interno dell’episodio più
riuscito del film che vedeva protagonista Roberto Benigni, l’idea della persona qualunque che, senza alcun motivo, si
ritrova a vivere la condizione di personaggio famoso, viene riproposta dal regista francese Giannoli. Il problema però è che Superstar per le sue due ore circa di durata (di gran lunga eccessive) ruota interamente attorno al tema della
celebrità improvvisa, nonché dell’invasività e dell'insensibilità del mondo dei
media, senza riuscire in alcun modo a proporre sulla questione una riflessione che risulti stimolante e non banale.
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