venerdì 31 agosto 2012

Venezia 69: "Paradise: Glaube" ("Paradise: Faith") di Ulrich Seidl; "Bad 25" di Spike Lee


In attesa delle giornate di domani e dopodomani, nelle quali saranno presentati i due film in concorso di gran lunga più attesi del festival, The Master di Paul Thomas Anderson e To the Wonder di Terrence Malick, nonché i lavori di Daniele Ciprì, Takeshi Kitano e Susanne Bier, al Lido il livello qualitativo delle opere proiettate continua ad essere piuttosto basso.
Per quanto riguarda il concorso, ieri è stato il turno delle proiezioni stampa di At Any Price di Ramin Bahrani (che recupererò stasera e del quale vi dirò in un prossimo articolo) e di Paradise: Glaube (Paradise: Faith) di Ulrich Seidl. Oggi invece il programma ha visto come indiscusso protagonista il documentario fuori concorso di Spike Lee, dedicato a Michael Jackson e al suo noto album del 1987 Bad. Qui sotto potete leggere le brevi recensioni dei film di Lee e Seidl.
 
Bad 25 di Spike Lee

Dopo il riuscito documentario di Jonathan Demme su Enzo Avitabile, di cui vi ho brevemente scritto nell'articolo di ieri, arriva al Lido un altro ritratto musicale, questa volta dedicato a una delle star della pop music più note al mondo, Michael Jackson.
Alternando con sapienza una gran quantità di materiali inediti contenuti nell’archivio privato del cantante deceduto nel 2009 a numerosi incontri con personaggi del mondo dello spettacolo, in particolar modo quello musicale, Spike Lee celebra il venticinquennale dell’uscita di Bad raccontando con mestiere e indubbio senso del ritmo la gestazione del celebre disco pubblicato a cinque anni dal successo planetario di Thriller
Sorta di grande dietro le quinte della produzione dell’album, il documentario di Lee perde però l'occasione di indagare, anche solo parzialmente, la complessa personalità della figura al contempo affascinante e controversa di Michael Jackson, limitandosi ad esaltarne il talento musicale attraverso le voci di colleghi, amicied estimatori.
 
Paradise: Glaube (Paradise: Faith) di Ulrich Seidl


Secondo capitolo di una trilogia pensata per rappresentare la differente ricerca della felicità di tre donne appartenenti alla medesima famiglia austriaca (ognuna delle quali protagonista di uno degli episodi del trittico), dopo il Paradise: Love visto allo scorso festival di Cannes Ulrich Seidl porta a Venezia Paradise: Faith.
Lungo le due ore scarse di durata dell’opera, seguiamo la vita totalmente devota alla religione cattolica di una rigida donna di mezza età. Nel periodo di vacanza, ella passa le giornate a pregare da sola o in compagnia, canta inni religiosi con il supporto della propria pianola e tenta piuttosto goffamente di mettere in pratica operazioni di conversione porta a porta. Occasionalmente, nel tentativo di espiare i peccati della società, si infligge punizioni corporali utilizzando un frustino o il cilicio. La vita della protagonista inizierà però a cambiare nel momento in cui, verso la metà del film, tornerà a vivere a casa il marito disabile che due anni prima aveva avuto un incidente stradale.
Facendo ricorso a una molteplicità di inquadrature lunghe ed estenuanti, oltre che a un ritmo che si rivela nel complesso di una lentezza disarmante, il film si propone di mostrare gli eccessi della fede. Lo fa però attraverso dei radicalismi stilistico-narrativi che appaiono alquanto autocompiaciuti, ben poco funzionali alla narrazione e spesso francamente insopportabili; finendo così per annoiare al punto da rendere impossibile l'emersione nello spettatore di una qualsivoglia riflessione sul complesso e potenzialmente stimolante tema affrontato.

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