In attesa delle giornate di domani e dopodomani, nelle quali saranno presentati i due film in concorso di gran lunga più attesi del festival, The Master di Paul Thomas Anderson e To the Wonder di Terrence Malick, nonché i lavori di Daniele Ciprì, Takeshi Kitano e Susanne Bier, al Lido il livello qualitativo delle opere proiettate continua ad essere piuttosto basso.
Per quanto riguarda il concorso, ieri è stato il turno delle proiezioni stampa di At Any Price di Ramin Bahrani (che recupererò stasera e del quale vi dirò in un prossimo articolo) e di Paradise: Glaube (Paradise: Faith) di Ulrich Seidl. Oggi invece il programma ha visto come indiscusso protagonista il documentario fuori concorso di Spike Lee, dedicato a Michael Jackson e al suo noto album del 1987 Bad. Qui sotto potete leggere le brevi recensioni dei film di Lee e Seidl.
Per quanto riguarda il concorso, ieri è stato il turno delle proiezioni stampa di At Any Price di Ramin Bahrani (che recupererò stasera e del quale vi dirò in un prossimo articolo) e di Paradise: Glaube (Paradise: Faith) di Ulrich Seidl. Oggi invece il programma ha visto come indiscusso protagonista il documentario fuori concorso di Spike Lee, dedicato a Michael Jackson e al suo noto album del 1987 Bad. Qui sotto potete leggere le brevi recensioni dei film di Lee e Seidl.
Bad 25 di Spike Lee
Dopo il riuscito documentario di
Jonathan Demme su Enzo Avitabile, di cui vi ho brevemente scritto nell'articolo di ieri, arriva al Lido un altro ritratto musicale, questa volta
dedicato a una delle star della pop music
più note al mondo, Michael Jackson.
Alternando con sapienza una gran
quantità di materiali inediti contenuti nell’archivio privato del cantante
deceduto nel 2009 a
numerosi incontri con personaggi del mondo dello spettacolo, in particolar modo quello musicale, Spike
Lee celebra il venticinquennale dell’uscita di Bad raccontando con mestiere e indubbio senso del ritmo la
gestazione del celebre disco pubblicato a cinque anni dal successo planetario
di Thriller.
Sorta di grande dietro le quinte della produzione dell’album, il documentario di Lee perde però l'occasione di indagare, anche solo parzialmente, la complessa personalità della figura al contempo affascinante e controversa di Michael Jackson, limitandosi ad esaltarne il talento musicale attraverso le voci di colleghi, amicied estimatori.
Sorta di grande dietro le quinte della produzione dell’album, il documentario di Lee perde però l'occasione di indagare, anche solo parzialmente, la complessa personalità della figura al contempo affascinante e controversa di Michael Jackson, limitandosi ad esaltarne il talento musicale attraverso le voci di colleghi, amicied estimatori.
Paradise: Glaube (Paradise: Faith) di Ulrich Seidl
Secondo capitolo di una trilogia
pensata per rappresentare la differente ricerca della felicità di tre donne appartenenti alla medesima famiglia austriaca (ognuna delle quali protagonista di uno degli episodi del trittico), dopo il Paradise: Love visto allo scorso festival di Cannes Ulrich Seidl porta
a Venezia Paradise: Faith.
Lungo le due ore scarse di durata
dell’opera, seguiamo la vita totalmente devota
alla religione cattolica di una rigida donna di mezza età. Nel periodo di
vacanza, ella passa le giornate a pregare da sola o in compagnia, canta inni religiosi con il supporto della propria pianola e tenta
piuttosto goffamente di mettere in pratica operazioni di conversione porta a
porta. Occasionalmente, nel tentativo di espiare i peccati della società, si infligge punizioni corporali utilizzando un frustino o il cilicio. La vita della protagonista inizierà però a cambiare nel momento in cui, verso la metà del film, tornerà a vivere a casa il marito disabile che due anni prima aveva avuto un incidente
stradale.
Facendo ricorso a una
molteplicità di inquadrature lunghe ed estenuanti, oltre che a un ritmo che si
rivela nel complesso di una lentezza disarmante, il film si propone di mostrare
gli eccessi della fede. Lo fa però attraverso dei radicalismi stilistico-narrativi che appaiono alquanto autocompiaciuti, ben
poco funzionali alla narrazione e spesso francamente insopportabili; finendo così per annoiare al punto da rendere impossibile l'emersione nello spettatore di una qualsivoglia
riflessione sul complesso e potenzialmente stimolante tema affrontato.
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