Sabato e domenica scorsi sono
stati i giorni più attesi al Festival di Venezia, con le proiezioni di The
Master di Paul Thomas Anderson e To the Wonder di Terrence Malick (di cui sotto vi propongo le mie recensioni). Il concorso continua nel complesso a rilevarsi di livello insolitamente basso. Tra
i pochi film interessanti, ieri è stato presentato alla stampa Après Mai di Olivier
Assayas, intenso e disincantato (anche se non certo originale) spaccato di vita di
alcuni giovani nel contesto dei movimenti studenteschi dei primissimi anni settanta. Stamattina invece è stato il turno di Linhas de Wellington di Valeria Sarmiento, che racconta la
resistenza portoghese durante il tentativo di invasione delle truppe della Francia di Napoleone nel 1810. Figurativamente ricchissima e molto curata, la pellicola non è egualmente raffinata sul piano della scrittura, finendo per risultare sostanzialmente noiosa e priva di fascino dal punto di vista drammaturgico.
Restando sempre al concorso, negli ultimi giorni si sono rivelati per diversi motivi poco riusciti anche Outrage Beyond di Takeshi Kitano e Pieta di Kim Ki-duk, mentre Fill The Void di Rama Burshtein risulta di un certo interesse per come mostra la condizione delle donne nella comunità chassidica di Tel Aviv. Meritano una visione il solido dramma familiare At Any Price di Ramin Bahrani, con protagonisti Dennis Quaid e Zac Efron, e la vivace commedia agrodolce di Susanne Bier All you Need is Love, con Pierce Brosnan in uno dei ruoli principali.
Qui sotto potete leggere le rencesioni di The Master e To the Wonder.
The Master di Paul
Thomas Anderson
Tornato negli Stati Uniti al termine della seconda guerra
mondiale, il tormentato e mentalmente instabile Freddie Quell (Joaquin Phoenix)
fatica ad instaurare delle relazioni con altri esseri umani. Fa abuso di
sostanze alcoliche e l’imprevedibilità del suo carattere scontroso, segnato da
improvvisi e violenti scatti d’ira, lo costringe a passare sistematicamente da
un impiego all’altro per guadagnarsi da vivere. In questo periodo di profonda
crisi personale, trova un inaspettato punto di riferimento in Lancaster Dodd
(Philip Seymour Hoffman), carismatico e ambiguo fondatore di un movimento denominato
“The Cause” che si prefigge di liberare gli uomini dagli istinti animali
professando la possibilità, mediante improbabili metodi spacciati per
scientifici, di farli entrare in contatto con le loro numerose vite precedenti.
Paul Thomas Anderson continua il radicale percorso di
trasformazione della propria poetica intrapreso cinque anni or sono con Il
petroliere (2007), vincitore al Festival di Berlino dell’Orso d’argento per
la miglior regia. A differenza di Sidney (1996), Boogie Nights
(1997), Magnolia (1999) e Ubriaco d’amore (2002), The Master
è infatti un’opera profondamente cupa e pessimista, che non lascia spazio alcuno
a occasioni di speranza e redenzione. Sempre più lontano dallo stile
“eccessivo” e autoriflessivo dei lavori precedenti la pellicola del 2007, nei
quali per rappresentare lo stato emotivo dei personaggi faceva sovente ricorso
a irrequieti movimenti della macchina da presa e a panoramiche a schiaffo, qui
il quarantaduenne cineasta californiano opta per una regia minimalista scevra
di virtuosismi e attua una drastica operazione di sottrazione; tanto sul piano
stilistico quanto su quello narrativo.
Giocando insistentemente con l’ellissi e il non detto, The
Master si presenta come un film molto complesso che richiederebbe diverse
visioni per essere considerato a fondo nei suoi molteplici aspetti e sfumature.
Ad ogni modo, per quanto sia eccellente sul piano formale (ottima la fotografia
di Mihai Malaimare Jr.), faccia leva su interpretazioni di notevole spessore
(Phoenix, Hoffman e Amy Adams) e presenti una serie di dialoghi scritti dallo
stesso Anderson in modo assai raffinato, dopo la prima visione la sensazione è
che lo sviluppo della narrazione e del rapporto tra i personaggi principali si
perda in una eccessiva cripticità. In Italia, il film sarà distribuito dalla Lucky Red a partire dal 10 gennaio.
To the Wonder di Terrence
Malick
È necessario sottolineare sin da subito che, come del resto
era ampiamente preventivabile, anche To the Wonder, al pari di The Master, necessiterebbe almeno una
seconda visione prima di essere affrontato in profondità.
Di gran lunga tra le pellicole più attese al Festival di
Venezia, l’ultima fatica di Terrence Malick è stata presentata in concorso
domenica, il giorno seguente la proiezione del film di Paul Thomas Anderson. A
solo un anno di distanza da The Tree of Life, il regista texano divenuto
all’improvviso prolifico – dopo aver girato cinque pellicole dal 1973 al 2011, ha attualmente in
post-produzione due lavori e ne sta già girando un terzo – torna al cinema con
una storia intimista incentrata sul problematico e sofferto rapporto d’amore
tra un uomo americano (Ben Affleck) e una donna ucraina (Olga Kurylenko) che decidono
di andare a vivere insieme in una piccola città dell’Oklahoma.
Terrence Malick ripropone fedelmente gli ormai celebri
stratagemmi stilistico-narrativi cui il suo cinema ci ha da anni abituato. Sviluppatisi
in forme particolarmente evidenti a partire da La sottile linea rossa
(1999), questi seguono una rigorosa poetica del frammento intimamente connessa
al processo mentale dell’associazione di idee e si alimentano di un continuo manifestarsi
di monologhi interiori ed immagini spesso enigmatici che concorre a configurare
uno spazio visuale in cui convivono temporalità differenti, ricordi, pensieri
ed immaginazioni.
Se però in The Tree of life (2011) tale peculiare
modo di intendere il cinema veniva portato agli estremi con una notevole e
ambiziosa intuizione drammaturgica, al fine di far dialogare il particolare (le
vicende di una famiglia degli anni cinquanta della provincia americana) e l’universale
(la nascita del cosmo e della vita), in To the Wonder il cineasta dà la
netta impressione di riuscire solo a tratti a trovare nella sovrapposizione e
nell’alternarsi di suoni, immagini e parole l’equilibrio necessario a provocare
nello spettatore prorompenti emozioni e, nel caso specifico, stimolanti riflessioni
sulle difficoltà insite nella natura del rapporto di coppia. Uscirà nei cinema italiani il 27 giugno 2013 per la 01 Distribution.
Le due recensioni sono state precedentemente pubblicate in un articolo scritto per Alfabeta2.it
ciao, che in invidia sei al festivaaaalll...
RispondiEliminaso che tu sei un espertone e io no, ma mi farebbe piacere se ti unissi al mio blgo di cinematerapia home made :)
fatto, ciao!
RispondiEliminaNon vedo l'ora di vedere questi due film. In particolare, per quanto riguarda To the Wonder, anche se si tratta di Malick, dovrò aspettare molto. Interessante il tuo paragone del film con The Tree of life.
RispondiEliminaGrazie per il commento Luciano. "To the Wonder" uscirà nei cinema italiani il 14 dicembre, quindi se avrai voglia di vederlo lo potrai fare anche prima di "The Master", che invece uscirà poco meno di un mese dopo (l'11 gennaio)
RispondiEliminaAspetto Pietà, mi incuriosisce da matti. E The Master sembra molto interessante, la tua recensione mi ha ispirato non poco. Phoenix mi piace e mi piace anche lo spunto del trauma post bellico.
RispondiEliminaA presto,
Veronica
A me "Pieta", nonostante la vittoria del Leone d'oro, non ha affatto convinto. L'ho trovato un film discreto, di sicuro non del tutto riuscito e ben lontano dall'essere eccezionale o indimenticabile. Mi riservo comunque di rivederlo nei prossimi giorni in cui uscirà al cinema. Per quanto abbia alcune perplessità su "The Master", come ho scritto nella mia breve recensione qui sopra, il film di Paul Thomas Anderson è di un altro livello da ogni punto di vista.
EliminaCiao e a presto