Emanuela Cotellessa, 28enne aquilana, racconta il suo entusiasmo per il mondo dell’audio e svela alcuni aspetti di uno dei mestieri del cinema meno conosciuti: il tecnico del suono.
Dopo
la sofferta rinuncia all’amato violino a seguito di un incidente stradale avuto
da adolescente, Emanuela Cotellessa ha
espresso la propria passione per la musica in una forma diversa, dedicandosi
all’attività di tecnico del suono. Oggi,
con alle spalle gli studi presso l’Accademia dell’Immagine e il Centro
Sperimentale, Emanuela ha partecipato in qualità di fonico di presa diretta,
microfonista e montatore del suono a diversi film di finzione e a numerosi
documentari, lavorando anche in un gran numero di cortometraggi e per la televisione.
L’abbiamo incontrata a inizio ottobre, nei giorni in cui stava finendo di
girare l’edizione italiana del reality Quattro
matrimoni.
Cos’è che ti
affascina di più del lavorare con i suoni?
Quando
frequentavo il Centro Sperimentale, ho iniziato a rendermi davvero conto di
come si potesse provocare delle emozioni attraverso i suoni, anche quelli
apparentemente più banali, divenendo con il tempo sempre più consapevole delle
notevoli possibilità espressive del suono cinematografico. Partendo da una
concezione del suono di questo tipo, ciò che più mi intriga è scegliere di
volta in volta gli strumenti di lavoro in base alle esigenze del film, del
documentario o del corto che devo realizzare. Per fare solo un esempio, è necessario
tenere presente che ogni microfono ha un colore diverso; può quindi restituire
dei suoni più caldi o più freddi e, di conseguenza, esprimere sensazioni e
atmosfere differenti.
Un
altro aspetto che mi attrae del mio mestiere riguarda l’affinità con la musica,
a cui dagli undici ai sedici anni ho dedicato tantissime ore delle mie giornate.
Il tecnico del suono infatti, registrando i suoni sul set ma soprattutto
lavorandoli in fase di postproduzione, crea il ritmo di tutto il film e in
questo modo è come se desse vita a una vera e propria partitura, composta di
note, ritmi, pause ed esitazioni. Quello del fonico di presa diretta o del
montatore del suono non è solo un lavoro tecnico, come in molti potrebbero
pensare, ma anche fondato su una forte componente creativa.
Quali sono le
maggiori difficoltà che si incontrano in Italia nella quotidianità del tuo mestiere?
In
Italia nel mio campo ci sono dei grandi talenti, il cui lavoro purtroppo
finisce spesso per essere fortemente condizionato dall’esiguità dei budget stanziati
dalle produzioni. Generalmente qui da noi, durante le riprese, il suono viene
gestito dal fonico di presa diretta e dal microfonista. Per poter lavorare a
livelli più alti e giocare con la bellezza e le molteplici sfaccettature dei suoni,
sarebbe però necessario un numero superiore di persone, nonché di attrezzature.
Negli Stati Uniti, ad esempio, esistono diverse figure specializzate che
operano sul set: c’è un fonico per la presa diretta, un fonico per gli effetti,
un fonico per gli ambienti e poi c’è il sound designer, una figura
importantissima che gestisce tutta la catena legata all’audio del film e che a
volte coordina anche il fonico di presa diretta, indicandogli quale tipo di
suoni serve registrare per poter poi ottenere un determinato effetto in post-produzione.
Trovi che i
cineasti italiani siano sufficientemente sensibili alle grandi potenzialità
insite nel rapporto tra immagine e suono?
Negli
ultimi anni i nostri registi si stanno aprendo molto alle possibilità del
sonoro. Il problema fondamentale è come al solito riconducibile a questioni di
carattere economico. Per abbattere le spese, infatti, i film vengono girati
sempre più in fretta e, considerato il poco tempo a disposizione, chi lavora con
il suono il più delle volte si ritrova a dover sfruttare al meglio i momenti di
pausa durante le riprese per effettuare le registrazioni di una serie di
movimenti degli attori, di alcuni suoni ambientali o le registrazioni a vuoto (a macchina da presa ferma, ndr). Tutte
operazioni, queste, essenziali per la fase successiva del montaggio del suono e
alle quali ci si dovrebbe dedicare senza fretta.
Nel cinema
contemporaneo, soprattutto in quello statunitense da te precedentemente evocato,
il suono assume un ruolo sempre più centrale e spesso si fa vero e proprio
strumento narrativo. Qual è una sequenza che ti ha particolarmente colpito da
questo punto di vista?
Il
petroliere
di Paul
Thomas Anderson si apre con delle suggestive immagini di un arido paesaggio
accompagnate dalla musica per orchestra di Jonny Greenwod, in più occasioni
interrotta dal rumore delle picconate sferrate dal personaggio principale,
interpretato da Daniel Day-Lewis. Anderson è un regista che lavora molto sulla
componente sonora e sulla sua interazione con le immagini. Ciò che mi ha affascinato
di questa sequenza iniziale è il modo in cui le sonorità di Greenwood risultano
decisive nella creazione dell’ambiente asettico e inospitale che ci viene
mostrato. In più, il ritmo ripetitivo della musica, interrotto da quelle violente
e insistite picconate, rappresenta molto bene l’ossessione del protagonista.
Articolo precedentemente pubblicato nel numero 4 di Fabrique du
Cinéma (Ottobre-Dicembre 2013)
Grande lavoro, di molta concentrazione e orecchio ..
RispondiEliminaBravissima Emanuela, attenta e perspicace e e ottimo l'intervistatore!
Grazie per l'"ottimo intervistatore"! :)
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