Probabilmente nemmeno nei suoi sogni Sydney Sibilia era arrivato ad immaginare che con il film d’esordio avrebbe riscosso un tale successo. Prodotto dalla Fandango e distribuito da 01 Distribution, Smetto quando voglio è stato visto da più di 600.000 spettatori, superando i 3 milioni e 600 mila euro di incasso.
Non
solo il pubblico ma anche la critica, in maniera pressoché unanime, ha riservato
all’opera prima un’accoglienza assai positiva. E meritatamente. Quello del
trentaduenne regista salernitano, trasferitosi a Roma dopo aver realizzato il
primo cortometraggio Iris Blu (2005)
con Cristina Capotondi, è infatti uno dei debutti cinematografici più interessanti
dell’anno. Anche se chi conosceva i suoi corti poteva ipotizzarne l’arrivo sul
grande schermo (Oggi gira così del
2010 era un gioiellino di scrittura e
tempi comici), Smetto quando voglio
sorprende per la capacità di intrattenere lo spettatore con intelligenza attraverso
una lunga serie di trovate esilaranti, senza mai perdere ritmo.
Solo il tempo ci dirà se dal fortunato caso di questo film – che racconta con piglio scanzonato le vicende di un gruppo di ricercatori precari intenti a sbarcare il lunario costituendo una banda di spacciatori di smart drugs – potrà nascere lo spazio per una nuova commedia italiana. Nell’attesa, noi di Fabrique salutiamo con entusiasmo questa operazione riuscita e coraggiosa, cercando di scoprirne di più proprio con l'autore.
Solo il tempo ci dirà se dal fortunato caso di questo film – che racconta con piglio scanzonato le vicende di un gruppo di ricercatori precari intenti a sbarcare il lunario costituendo una banda di spacciatori di smart drugs – potrà nascere lo spazio per una nuova commedia italiana. Nell’attesa, noi di Fabrique salutiamo con entusiasmo questa operazione riuscita e coraggiosa, cercando di scoprirne di più proprio con l'autore.
Qual è la storia produttiva di Smetto quando voglio e come sei riuscito nell’impresa di farti finanziare il film da Domenico Procacci?
Nei
primi mesi del 2011 con Matteo Rovere, che aveva prodotto Oggi girà così ed è stato poi anche coproduttore di Smetto quando voglio, sono andato da
Procacci, il quale dopo aver visto Oggi
gira così mi ha invitato a metter su un gruppo di scrittura. Io e Valerio Attanasio avevamo
già scritto il soggetto e così, a partire dall’aprile del 2011, abbiamo
iniziato a lavorare alla sceneggiatura insieme ad Andrea Garello. Anche se
tuttora mi sento di vivere nel mondo del cinema con lo spirito dell’esploratore
e inizialmente non avrei mai creduto che la cosa sarebbe davvero andata in porto,
dopo la consegna della prima stesura a dicembre mi sono reso conto che le cose
si stavano sviluppando in maniera positiva. Nel gennaio 2012 il film è stato
calendarizzato e successivamente sono iniziati i contatti con Rai Cinema e il percorso
per il finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Hai trovato
difficoltà nel passare dalla forma del cortometraggio a quella del film per il
cinema? Da dove è nata e come hai sviluppato l’idea alla base di Smetto quando voglio?
In
una primissima fase avevo in mente una serie di immagini legate a situazioni e
personaggi che avrei poi voluto legare tra loro attraverso un filo narrativo.
Ben presto però mi sono reso conto come questo metodo di lavoro, che avevo ampiamente
utilizzato nei miei corti, non era proficuo per un lungometraggio. In questo
caso era fondamentale capire subito di cosa e di chi volevo parlare, concentrandomi
in seguito su alcuni personaggi e sul loro arco di trasformazione. Raggiunta
questa consapevolezza, mi sono imbattuto in un articolo di
giornale in cui venivano intervistati due netturbini di Roma che, nonostante
fossero laureati in filosofia, erano contenti di quanto facevano. Ciò che mi
colpiva era la loro serena rassegnazione. Siamo dunque partiti da questa
suggestione andandoci a cercare altre storie simili (molte delle quali ci hanno
più o meno direttamente ispirato per il film), per poi sviluppare intorno ad
esse un mondo coerente e verosimile dove le persone più intelligenti vivono ai
margini.
Quali sono stati
i vostri modelli narrativi di riferimento?
Inizialmente
abbiamo fatto un elenco di alcuni film e serie televisive a cui volevamo
ispirarci: ne facevano parte Limitless,
Big Bang Theory, Snatch, Romanzo criminale
e 21, dal quale abbiamo ripreso la
struttura circolare. Nonostante la storia di Smetto quando voglio giri intorno all’elaborazione di una droga
sintetica, tra i riferimenti non c’era Breaking
Bad, di cui avevo sentito parlare ma che non avevo ancora visto. A un
livello più inconscio e generale, credo poi di essere molto legato a un certo
tipo di cinema americano degli anni ’80 e ’90 con cui sono cresciuto. Penso a
film come Ritorno al futuro, Salto nel buio e Navigator, con quelle loro sceneggiature prive di sbavature.
Qual è stato invece
il tuo approccio alla regia? E, rimanendo sull’aspetto visivo, cosa ti ha
portato alla scelta di una fotografia così satura?
Ancora
oggi mi sento principalmente uno sceneggiatore, oltre che un intrattenitore. E
la messa in scena la penso sempre come un qualcosa che deve essere funzionale
alla storia. In Smetto quando voglio,
così come nei miei corti, ho sempre cercato di evitare uno stile invasivo per non
rischiare di scivolare nell’autocelebrazione e perdere di vista ciò che conta davvero:
la storia e i personaggi. La regia in fondo non è altro che uno degli aspetti
di un lavoro molto più ampio. Per quanto riguarda invece la fotografia, la
volontà era quella di tradurre anche sul piano visivo l’idea di fare una
commedia un po’ differente dal solito. Il colpo d’occhio oggi secondo me è fondamentale.
La maggior parte degli spettatori ormai scelgono se andare a vedere o meno un
film dopo aver guardato il trailer sul web. Volendo evitare la fotografia
satura al punto giusto del cinema italiano e partendo dalla consapevolezza che
preferivamo rischiare di sbagliare piuttosto che aderire ad una soluzione
standard, ci siamo ispirati all’estetica ipersatura della serie inglese Utopia di Dennis Kelly.
Cosa stai
facendo in questo momento? Puoi già dirci qualcosa sul tuo prossimo film?
Attualmente
sto ancora seguendo Smetto quando voglio.
Per tornare a scrivere ho sempre bisogno di sentirmi un po’ orfano. Ad un certo
punto arriverà il momento in cui non mi vedrò più legato al mio primo film e inizierò
a lavorare seriamente al nuovo. Comunque farò senz’altro un’altra commedia: l’idea
è quella di concentrami su qualcosa di un po’ matto e che non sia banale. Spero
di spiazzare il pubblico lasciandolo incredulo. In ogni caso, cercherò di
seguire la strada più difficile, consapevole del fatto che per il secondo film,
a differenza di quanto avvenuto con l’esordio, ci sarà una certa aspettativa da
parte del pubblico. Che non voglio in alcun modo deludere.
Articolo pubblicato nel numero 6 di Fabrique du
Cinéma (Estate 2014)
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