Dopo avervi postato le mie riflessioni su Blood Story, vi propongo ora la mia recensione del film originale, cui facevo implicito riferimento analizzando la pellicola di Reeves e di cui scrissi all’epoca della visione all’anteprima stampa romana del dicembre 2008.
Presentato alla 26a edizione del Torino Film Festival e accolto entusiasticamente da gran parte della critica internazionale, Lasciami entrare di Tomas Alfredson è una sorta di horror sentimentale che in realtà sfugge alla rigidità di una qualsiasi etichetta. Precipuo punto di forza della pellicola in questione è, infatti, quello di cambiare direzione almeno tre volte nel corso del suo sviluppo: inizialmente, nei primissimi minuti, può legittimamente sembrare un serial killer movie, in un secondo momento si presenta come un vampire movie, per poi finalmente rivelarsi, dopo mezz'ora circa, per ciò che effettivamente è: un'atipica storia d'amore tra un dodicenne e una bambina vampira.
L'idea di declinare il tradizionale “film di vampiri” in una storia d'amore tra un bambino delle medie perseguitato da tre bulli suoi coetanei e una vampira dall’aspetto di una ragazzina di 12 anni, è vincente e particolarmente intrigante, anche se non così originale come potrebbe sembrare. Già Near Dark (Il buio si avvicina, 1987), piccolo film a basso budget di una giovane Kathryn Bigelow, divenuto con il passare degli anni oggetto di culto, ruotava difatti al centro di una love story tra un giovane uomo e una attraente vampira. Se dalla pellicola della Bigelow emergevano una sapienza stilistica e una capacità di giocare con i generi fuori dal comune, nel film di Alfredson – che si concentra, per così dire, sul mondo della fanciullezza – gli elementi di maggior interesse sono l'utilizzo del paesaggio scandinavo e il rapporto tra i due giovani protagonisti (entrambi bravissimi), accomunati dal fatto di essere per motivi diversi fondamentalmente soli. Lui a causa della sua estrema timidezza e riservatezza, lei per la propria natura non più umana. Solitudine e paesaggio che sono poi elementi assai ben interconnessi tra loro: la costante presenza sullo sfondo del gelido, aspro e affascinante paesaggio svedese, composto di enormi distese ghiacciate e innumerevoli vicoli vuoti, ha infatti un ruolo centrale nella rappresentazione dell'atmosfera di solitudine dominante la pellicola.
Lasciami entrare può contare quindi su alcuni spunti piuttosto interessanti e su un regista in grado di legarli mediante una serie di immagini indubbiamente suggestive. Quello di Alfredson è però anche un film non privo di difetti dal punto di vista narrativo, e in particolare sul piano dello sviluppo diegetico: alcune sequenze (vedi a titolo esemplificativo quella dei gatti che assaltano la donna o quella della ricerca da parte di suo marito della vampiretta) appaiono sbrigative o, nel peggiore dei casi, si rivelano tutto sommato inutili. Alla pellicola avrebbe di sicuro giovato un minutaggio più agile (la durata è di 114 minuti): dopo un inizio molto stimolante in cui vengono efficacemente presentati personaggi e contesto, la parte centrale a tratti si dilunga su aspetti poco interessanti appesantendo notevolmente la visione e la godibilità del film; che poi però si riprende in modo egregio con un epilogo sorprendente e violento. Alfredson tornerà nei cinema italiani il prossimo 20 gennaio con La talpa, presentato con successo alla scorsa edizione del festival di Venezia e interpretato da Gary Oldman e Colin Firth.
Ho adorato il film, trovandolo superiore sicuramente al pur bel remake e, a tratti, anche al meraviglioso libro.
RispondiEliminaSono d'accordo, la sequenza dei gatti è un po' trash e stona con l'atmosfera del film, ma d'altronde Alfredson ha tolto parecchie cose molto più inutili e trash dal libro, facendo comunque un ottimo lavoro.
Penso che il tema della solitudine, nella'ambientazione fredda e tenebrosa periferia svedese, sia comune anche ai personaggi secondari con le loro tristi esistenze (nullafacenti, alcolizzati, bulli e il gattaro che sta chiuso in casa). Cmq uno dei più bei film sui vampiri...che non ha niente a che vedere con la moda che si è fatta del tema ultimamente. Penso l'ultimo film prima di questo dei vampiri che ho visto è "Intervista col vampiro", anche lì i vampiri sono umanizzati e non mostrizzati.
RispondiElimina@Mr. Shake: sono pienamente d'accordo con te sul fatto che l'atmosfera di solitudine, oltre a coinvolgere in primis i protagonisti del film, si estende fino ad avvolgere l'intero racconto, compresi i personaggi secondari.
RispondiElimina@Il Bollalmanacco di cinema: pur apprezzando il film di Alfredson, la mia sensazione dopo aver visto Blood Story fu quella che alla resa dei conti il film di Reeves fosse superiore. Però devo specificare che sia Blood Story che il film di Alfredson li ho visti una sola volta. Appena riuscirò, proverò a rivedermi a distanza di tre anni Lasciami entrare, per mettere alla prova i miei giudizi e vedere l'effetto che mi fa una seconda visione. Sono piuttosto curioso.
Un grande film! Un cinema svedese vivo e vitale! Meglio di quello americano che si affida a remake continui. In merito: http://onestoespietato.wordpress.com/2011/09/29/cinemausa_sindromesvedese/ insomma, parliamone!
RispondiElimina