Alle origini di Lei: I’m
Here e Mourir auprès de toi
L’idea
alla base di Lei deve essere maturata
in Spike Jonze nel corso degli ultimi anni, come naturale conseguenza del
percorso recentemente intrapreso con la realizzazione di due cortometraggi poco
noti, assai diversi tra loro per minutaggio, stile e ambizione, ma connessi sul piano tematico: I’m Here
(2010) e Mourir auprès de toi (2011),
quest’ultimo diretto con Simon Cahn, regista francese perlopiù di video
pubblicitari e musicali.
I’m Here è ambientato a
Los Angeles in un futuro prossimo che ha tutte le caratteristiche del nostro tempo,
a eccezione del fatto che esseri umani e robot condividono lo stesso spazio
metropolitano.
Ispirato nello sviluppo drammaturgico al libro illustrato per bambini The Giving Tree (tradotto in italiano con il titolo L’albero) di Shel Silverstein, l’intenso e visivamente raffinato cortometraggio racconta in trenta minuti una love story tra due robot. Sheldon, un automa dall’aspetto maschile, vede cambiare improvvisamente la propria monotona vita quando incontra Francesca, un vivace robot dalle sembianze femminili cui esprime un amore incondizionato privandosi gradualmente di quasi tutte le componenti del corpo meccanico, al fine di sostituire le numerose parti danneggiate del partner.
Ispirato nello sviluppo drammaturgico al libro illustrato per bambini The Giving Tree (tradotto in italiano con il titolo L’albero) di Shel Silverstein, l’intenso e visivamente raffinato cortometraggio racconta in trenta minuti una love story tra due robot. Sheldon, un automa dall’aspetto maschile, vede cambiare improvvisamente la propria monotona vita quando incontra Francesca, un vivace robot dalle sembianze femminili cui esprime un amore incondizionato privandosi gradualmente di quasi tutte le componenti del corpo meccanico, al fine di sostituire le numerose parti danneggiate del partner.
Mourir auprès de
toi,
invece, si concentra su una serie di
figure disegnate sulle copertine di alcune versioni illustrate di celebri testi
che, alla chiusura di una libreria parigina, prendono vita e interagiscono tra
loro.
In questo delizioso divertissement d’animazione in stop motion di sei minuti, che tra l’altro conferma ancora una volta l’interesse di Jonze per la forma del libro illustrato (si pensi anche a Nel paese delle creature selvagge del 2009), l’intreccio è molto semplice: si seguono le molteplici disavventure di uno scheletro emancipatosi dal Machbet di Shakespeare che riesce a conquistare un’avvenente donna, animatasi dal Dracula di Stoker, solo dopo essere stato decapitato dalle lancette de Il grande orologio di Fearing, sprofondato all’interno di Sartoris di Faulkner e inghiottito dalla balena di Moby Dick di Melville.
In questo delizioso divertissement d’animazione in stop motion di sei minuti, che tra l’altro conferma ancora una volta l’interesse di Jonze per la forma del libro illustrato (si pensi anche a Nel paese delle creature selvagge del 2009), l’intreccio è molto semplice: si seguono le molteplici disavventure di uno scheletro emancipatosi dal Machbet di Shakespeare che riesce a conquistare un’avvenente donna, animatasi dal Dracula di Stoker, solo dopo essere stato decapitato dalle lancette de Il grande orologio di Fearing, sprofondato all’interno di Sartoris di Faulkner e inghiottito dalla balena di Moby Dick di Melville.
L’umanesimo in un mondo ipertecnologico
La
possibilità da parte di oggetti, siano essi disegni o robot, di prendere vita
provando emozioni e attrazione fisica reciproca (Mourir auprès de toi), oppure di esperire l’innamoramento avendo
persino la capacità di immaginare e sognare (I’m Here), costituisce un presupposto fondamentale di Lei.
Nella
sua ultima opera Jonze prende le mosse da qui per spostarsi verso ulteriori
direzioni, narrando la nascita e lo sviluppo della vibrante storia d’amore tra Theodore
Twombly, un talentuoso e malinconico scrittore di lettere per conto terzi con alle spalle un matrimonio conclusosi infelicemente, e Samantha, un sistema
operativo di ultima generazione dotato di intelligenza artificiale e in grado
di provare qualsiasi tipo di sentimento. Essendo un software, tra l’altro,
Samantha a differenza dei robot di I’m Here o dei personaggi animati di Mourir auprès de toi ricopre uno statuto ancora differente rispetto a quello di oggetto.
Come nel cortometraggio del 2010, allo stesso modo in Lei (ambientato anch’esso a Los Angeles in un futuro simile ai nostri giorni), la vita del protagonista muta radicalmente con l’incontro di quello che è destinato a divenire il suo partner non umano. Tormentato dalla fine del matrimonio, Theodore inizia finalmente ad apprezzare di nuovo ciò che lo circonda grazie a Samantha e alla sua trascinante volontà di sperimentare il variegato spettro di emozioni che offre l’esistenza (“Voglio imparare qualsiasi cosa, voglio divorare tutto, voglio scoprire tutta me stessa”, dice Samantha a Theodore la mattina successiva il loro primo rapporto “sessuale”).
Come nel cortometraggio del 2010, allo stesso modo in Lei (ambientato anch’esso a Los Angeles in un futuro simile ai nostri giorni), la vita del protagonista muta radicalmente con l’incontro di quello che è destinato a divenire il suo partner non umano. Tormentato dalla fine del matrimonio, Theodore inizia finalmente ad apprezzare di nuovo ciò che lo circonda grazie a Samantha e alla sua trascinante volontà di sperimentare il variegato spettro di emozioni che offre l’esistenza (“Voglio imparare qualsiasi cosa, voglio divorare tutto, voglio scoprire tutta me stessa”, dice Samantha a Theodore la mattina successiva il loro primo rapporto “sessuale”).
Per
la prima volta sceneggiatore unico di un suo lavoro – Essere John Malkovich e Il
ladro di orchidee erano stati scritti da Charlie Kauffman, mentre il
copione di Nel paese delle creature selvagge lo aveva firmato a quattro mani con Dave Eggars – Spike Jonze
mette dunque in scena un mondo in cui i rapporti tra individui e software
possono raggiungere livelli di complessità per molti aspetti paragonabili a
quelli che è possibile instaurare tra esseri umani. In tal modo il
quarantaquattrenne regista statunitense, oltre a proporre un’intrigante e mai
banale riflessione su un possibile (probabile?) sviluppo del rapporto tra uomo
e tecnologia, riesce a raccontare con un’abilità di scrittura fuori dal comune
qualcosa che ha intimamente a che fare con le nostre vite e i rapporti
interpersonali di cui esse si alimentano.
I raffinati dialoghi tra i protagonisti, nella loro genuinità e profondità, sono in grado di rendere perfettamente credibili ed emotivamente dense situazioni che sulla carta sarebbero potute facilmente scivolare nel ridicolo. Da questo punto di vista, decisivo è il contributo dei due attori principali. Se Joaquin Phoenix si conferma uno dei più talentuosi e versatili attori statunitensi in attività (il Freddie Quell che interpretava con maestria nel recente The Master, ad esempio, era un personaggio agli antipodi di Theodore), a sorprendere è Scarlett Johannson. L’attrice, nonostante non appaia fisicamente sullo schermo neppure per un istante, anche solo con l’espressività e il timbro della voce suadente e roca dona al proprio personaggio privo di corpo un’intensità inaspettata.
I raffinati dialoghi tra i protagonisti, nella loro genuinità e profondità, sono in grado di rendere perfettamente credibili ed emotivamente dense situazioni che sulla carta sarebbero potute facilmente scivolare nel ridicolo. Da questo punto di vista, decisivo è il contributo dei due attori principali. Se Joaquin Phoenix si conferma uno dei più talentuosi e versatili attori statunitensi in attività (il Freddie Quell che interpretava con maestria nel recente The Master, ad esempio, era un personaggio agli antipodi di Theodore), a sorprendere è Scarlett Johannson. L’attrice, nonostante non appaia fisicamente sullo schermo neppure per un istante, anche solo con l’espressività e il timbro della voce suadente e roca dona al proprio personaggio privo di corpo un’intensità inaspettata.
Da
sottolineare è anche la misuratezza e la funzionalità alle esigenze narrative dello stile registico, che rifugge ogni virtuosismo autoreferenziale facendo
sovente ricorso a primi piani e inquadrature ravvicinate, ora fisse ora in
leggero movimento di avvicinamento verso Theodore, per mettere in risalto con
discrezione l’espressività di Phoenix. Significativamente, in una delle scene
più toccanti del film, il regista arriva a lavorare quasi completamente per
sottrazione: il momento di maggiore coinvolgimento emotivo del primo rapporto
“sessuale” tra Theodore e Samantha, infatti, viene sapientemente messo in scena
attraverso una dissolvenza in nero che lascia molto all’immaginazione dello
spettatore, al quale viene permesso soltanto di udire le voci dei due.
Tra
le storie d’amore più potenti, anticonvenzionali e inventive della produzione cinematografica
statunitense degli anni Duemila – insieme ad opere come Ubriaco d’amore (2002) di Paul Thomas Anderson, Se mi lasci ti cancello (2004) di Michel
Gondry e Beginners (2010) di Mike
Mills –, Lei si distingue per la
capacità di rappresentare, attraverso il marcato ma al contempo essenziale
espediente narrativo del rapporto con un sistema operativo, la natura più
intima dell’essere umano nel mondo. Al
centro del film di Spike Jonze, in fondo, per quanto la questione
dell’evoluzione tecnologica possa ricoprire un ruolo rilevante, non c’è che
un’umanità tratteggiata con notevole sensibilità in tutta la sua fragilità, come
nelle floride potenzialità. Da questa prospettiva, non è certo un caso che
il film si concluda con una dissolvenza in nero accompagnata da un sospiro di
Theodore: quello stesso sospiro così caratteristico della sfera umana che,
durante una discussione, il protagonista fa notare a Samantha di stare simulando
senza motivo, non avendo lei bisogno
di ossigeno per respirare.
Articolo pubblicato nel numero 1 di Marla (aprile-maggio
2014)
Una bella recensione, grazie. Non lo reputo all'altezza di film d'amore come "Se mi lasci ti cancello", però è un film interessante, da vedere. Ho trovato fastidiosa la voce itaqliana di Samantha; ecco cosa scopro a proposito leggendo da te....Vado a recuperare la versione originale, almeno per curiosare qualche minuto!
RispondiEliminaDevo essere sincero: dopo aver guardato il trailer italiano, non ho avuto il coraggio di tornare a vedere al cinema la versione italiana di "Lei". Ti consiglio vivamente di riguardare il film in originale con i sottotitoli, ne vale veramente la pena. La voce della Johansson ha un ruolo fondamentale e decidere di doppiarla, di fatto, ha significato cancellare totalmente la sua ottima recitazione. In questo articolo dello scorso gennaio, proponevo sia il trailer italiano che quello inglese. Già solo vedendoli uno dopo l'altro, ti puoi rendere conto dell'enorme differenza (la stessa voce originale di Phoenix ha una profondità non paragonabile a quella di chi lo doppia): http://cinemagnolie.blogspot.it/2014/01/her-lei-di-spike-jonze-il-primo-trailer.html
Eliminaarticolo molto bello e molto umano :)
RispondiEliminaGrazie Marco! :)
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