Oggi vi propongo un articolo che scrissi ormai quasi due anni fa per il mensile Cinem'Art in occasione dell’uscita nei cinema italiani di Live!. Il film di Bill Guttentag con protagonista Eva Mendes fu il pretesto per riflettere sinteticamente sui modi di rappresentazione da parte del cinema del mondo della televisione, e in particolare su come la settima arte ha dipinto negli ultimissimi anni il suo format di maggior successo: il reality show.
Il cinema americano si è dimostrato sempre molto attento al mondo del piccolo schermo, ai suoi molteplici meccanismi e sviluppi. Se il primo film importante dedicato interamente all'universo mediatico di un network è l'impietoso Quinto potere (1976) di Sidney Lumet, negli ultimi anni vi è stato un gran numero di pellicole che ha avuto come protagonista il medium televisivo, che si è presentato talora come forte elemento simbolico, più o meno sullo sfondo, talora come fulcro della struttura narrativa. Nell'ultima decade, la riflessione del cinema sulla televisione è passata in diversi casi attraverso il confronto con il format del reality show o della real-tv: per citarne solo alcuni, il celebre e riuscitissimo The Truman Show (1998) di Peter Weir, il poco profondo ma godibile Edtv (1999) di Ron Howard, fino all'indipendente Contenders – Serie 7 (2001) di Daniel Minahan e a Live! di Bill Guttentag (2007, uscito in Italia nel marzo 2009).
In questi ultimi due casi al centro del film vi è un programma televisivo in cui vince il concorrente che sopravvive. La morte in diretta – tematica del resto già presente in diversi film statunitensi fin dagli anni '70: lo stesso Quinto potere – come ingrediente essenziale ai fini del successo di uno show, come unico elemento in grado di assicurare, nella televisione del nuovo millennio, un bacino di audience elevato e proventi pubblicitari smisurati. La presa di posizione nei confronti del mondo della tv è ovviamente netta e il ragionamento che sottende i due lavori è semplice: con un mondo televisivo disposto a tutto pur di guadagnare quanto più denaro possibile, già largamente abituato a speculare senza ritegno sulla vita e sulle emozioni delle persone, non è pura fantascienza pensare ad un'ennesima evoluzione del medium in una tale funebre direzione. Tanto più che, se si mettono a disposizione premi sostanziosi, non mancheranno certo concorrenti disposti a giocarsi la vita davanti ad una telecamera. Come si sa, l'uomo è sempre stato affascinato dalla visione del pericolo, della violenza e, ancor più, della morte; se poi a tutto questo si aggiungono le componenti della diretta televisiva e della realtà che scorre davanti ai nostri occhi, il cerchio si chiude e il successo è garantito.
In Live!, film non eccezionale ma ben confezionato, l'ambiziosa produttrice televisiva Katy Courbet (Eva Mendes) è alla disperata ricerca di un'idea per un format in grado di risollevare le sorti della propria emittente, in progressiva crisi d'ascolti. Durante una riunione con il suo staff, una assistente le accenna a mo' di boutade l'eventualità di uno show in cui i partecipanti giochino in diretta alla roulette russa. Katy viene immediatamente persuasa da questa idea e comincia a lavorarci su. Inizialmente i vertici del network si mostrano piuttosto perplessi per una serie di aspetti legali e politici (mai etico-morali però), pur rendendosi conto del potenziale commerciale del progetto. Nonostante questa situazione di incertezza circa il futuro del programma, Katy dà il via ai provini e in seguito manda il documentarista Rex, sempre al suo fianco, a filmare dei brevi video biografici che raccontino la storia dei concorrenti da lei scelti. Il programma ancora in embrione suscita un clamoroso interesse nell'opinione pubblico-mediatica: tutti i media parlano di “Live!”, pronunciandosi a favore o contro la sua messa in onda. Per ognuno dei partecipanti superstiti viene prevista l'assegnazione della stratosferica cifra di 5 milioni di dollari. Il pubblico attraverso i sondaggi effettuati dimostra di essere intrigato dalla natura del format, e alla lunga la nostra avida protagonista ottiene dal network il via libera per il finanziamento del programma e per la sua trasmissione. Si riesce infine ad aggirare ogni tipo di ostacolo legale, ottenendo persino il benestare dell'organo di controllo sulle comunicazioni alla sola condizione che lo spettacolo televisivo non vada in onda prima dell'una di notte. Con la morte in diretta di uno dei sei concorrenti si supererà il 50% di share, battendo nettamente ogni record.
Il film di Bill Guttentag è diviso in due parti: nella prima, la più lunga, si descrive la fase progettuale e preparatoria dello show, dall'ideazione iniziale alla vigilia della messa in onda; nella seconda, che dura poco più di mezz'ora e si segnala per il forte pathos che emana, si mostra quasi esclusivamente lo svolgimento del programma televisivo, con un finale che chiarisce (anche se non è difficile intuirlo fin dall'inizio) come la pellicola che abbiamo visto non sia altro che il documentario sulla genesi e l'affermazione di “Live!”girato da Rex. Ed è interessante pensare a tal proposito che Guttentag è un documentarista (ha vinto 2 Oscar e ottenuto 5 nomination nella categoria di miglior documentario), al suo esordio nel cinema di finzione.
Contenders – Serie 7 gioca con lo spettatore in modo simile. Tutto ciò che vediamo non è un documentario, ma il vero e proprio omonimo programma televisivo. Lo spettatore cinematografico vede esattamente ciò che vedrebbe il virtuale spettatore tv della settima serie di “Contenders”. Tra i due si crea un'interessante dialettica: il primo con ogni probabilità a differenza del secondo possiede un occhio critico, confrontandosi ma anche a sprazzi identificandosi con quest'ultimo. Le regole del gioco sono semplici: cinque concorrenti sfidano il campione in carica della serie precedente. Fin qui nulla di particolarmente diverso da quanto si possa immaginare. La particolarità dello show sta però nel fatto che vince chi non muore, riuscendo ad uccidere tutti gli altri. I protagonisti non agiscono all'interno di uno studio televisivo, ma nella loro città, ciascuno monitorato 24 ore su 24 da un cameraman e seguito tramite un sistema GPS all'avanguardia. Il campione in carica è nella puntata cui assistiamo una donna incinta, sola e con alle spalle dei rapporti familiari e personali burrascosi, che torna dopo quindici anni nella sua città natale, Newbury, ritrovandosi di fronte i (non) luoghi della propria infanzia. Lo sfondo del film/programma tv infatti è una sciatta, spettrale, anonima provincia americana che sembra rappresentare alla lettera il vuoto della morale, dell'etica e dei valori che aleggia ingombrante come un macigno lungo l'arco dell'intero show, tanto da infastidire e mettere seriamente a disagio lo spettatore cinematografico (mentre quello virtuale televisivo presumibilmente gongola).
In questo contesto non deve dunque sorprendere se si vede una coppia di genitori che seguono costantemente la figlia partecipante allo show, istigandola a fare fuori tutti i concorrenti (“Quell'uomo è un bersaglio facile, tesoro. Vai lì e sopprimilo!”); oppure se si coglie il modo in cui il programma crea una costante, morbosa e macabra suspense sulla morte reale dei contenders, della quale è la prima responsabile (si pensi anche solo allo slogan del programma: “Le persone sono vere. Il pericolo è vero. La lotta è per la vita”).
Quella che emerge è la sconfortante immagine di un'umanità alla deriva, di cui la televisione è specchio privilegiato e simbolo per eccellenza. Mancherà “l'impennata visionaria alla Truman Show”, come scrive Paolo Mereghetti, ma a nostro avviso Contenders – Serie 7 è comunque un film solido e molto interessante, che incolla ambiguamente allo schermo lo spettatore con le stesse (basse) armi proprie della tv. Oltre ad avere il pregio di essere forse il lungometraggio che mostra nel modo più radicale e strutturato una possibilità di format televisivo in cui si mette in scena, in nome degli ascolti, la reale morte di persone in carne ed ossa: un format a cui si spera non arriveremo mai. Nel caso forse non così remoto in cui avvenga un qualcosa di analogo a quanto Contenders e Live! raccontano, però, non sarebbe certo la prima volta che il cinema arriva ad assumere una funzione anticipatrice o premonitrice.
Articolo già pubblicato nel numero 13 di Cinem'Art (Aprile 2009)
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