Fresco vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista per l’impeccabile interpretazione di re Giorgio VI nel solido e formalmente rigoroso ma non memorabile Il discorso del re di Tom Hooper, omaggiamo Colin Firth proponendovi la nostra recensione di A Single Man, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Christopher Isherwood in cui il grande attore britannico ha fornito quella che forse rimane tuttora la migliore performance della sua carriera.
Al 66° Festival di Venezia lo stilista texano Tom Ford, alla prima fatica dietro la macchina da presa, stupì un po’ tutti dimostrando con questo suo ottimo esordio una padronanza del mezzo e un senso drammaturgico invidiabili, essendo egli anche autore (insieme a David Scearce) di una sceneggiatura davvero ben scritta che si alimenta di dialoghi insolitamente profondi e perfettamente calibrati.
Siamo nel 1962, sullo sfondo della crisi missilistica di Cuba tra Stati Uniti e Unione Sovietica. In una Los Angeles apparentemente ridente e perfetta, un professore universitario di mezz’età cerca di accettare la morte del suo compagno. Tra sofferenze, nostalgici ricordi e nuovi incontri, seguiamo una singola giornata della sua malinconica e disperata vita.
Siamo nel 1962, sullo sfondo della crisi missilistica di Cuba tra Stati Uniti e Unione Sovietica. In una Los Angeles apparentemente ridente e perfetta, un professore universitario di mezz’età cerca di accettare la morte del suo compagno. Tra sofferenze, nostalgici ricordi e nuovi incontri, seguiamo una singola giornata della sua malinconica e disperata vita.
Il film di Tom Ford è molto interessante per come descrive un’America benestante e agiata, dietro la quale però si annidano tragedia, solitudine e quella diversità che fa paura alla maggioranza eterosessuale: molto incisivo (e meravigliosamente scritto) è il discorso che il professore fa alla sua classe riguardo temi quali la cultura della paura e il rapporto nella società umana tra maggioranze e minoranze. A Single Man, come hanno più volte affermato anche regista e interprete principale, in fondo non è altro che una storia d’amore che prende forma dai ricordi del passato di George. Una semplice, struggente, tragica storia d’amore che avrebbe potuto benissimo coinvolgere un uomo e una donna, invece che due uomini.
L’opera prima riesce a scandagliare con forza e intensità, rendendoli mirabilmente anche da un punto di vista meramente visivo, i sentimenti di un uomo innamorato di una persona che lo ha lasciato anzitempo causa un banale incidente automobilistico. La regia è sobria e misurata e, grazie alla straordinaria fotografia di Eduard Grau (i cui colori passano dallo spento al vivace a seconda dello stato d’animo del protagonista), contribuisce a fare del film un’opera di primo livello dal punto di vista estetico, ancor prima che drammaturgico. L’interpretazione di Colin Firth è da applausi (inspiegabilmente dimenticato agli Oscar 2010, l’attore vinse meritatamente la Coppa Volpi) e la lunga sequenza del dialogo che lo vede protagonista con Julianne Moore a casa di lei si fonda su uno dei pezzi di sceneggiatura più forti e intensi visti al cinema negli ultimi anni. Da non perdere.
gran bel film, l'ho promosso anch'io a pieni voti
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