lunedì 9 maggio 2011

"L'innocenza del peccato" di Claude Chabrol


Presentata fuori concorso al festival di Venezia del 2007, la penultima fatica cinematografica di Claude Chabrol, deceduto lo scorso 12 settembre all’età di ottanta anni, è un lucido e disincantato viaggio all’interno dell’animo umano e delle sue molteplici e sfuggenti sfaccettature. Come in molto cinema del cineasta transalpino, anche qui l’ambiente ritratto è quello borghese (del quale vengono sottolineate per l’ennesima volta le profonde contraddizioni e ipocrisie) e l’intreccio è una sorta di semplice canovaccio in cui far vivere personaggi complicati, ambigui, mai facilmente decifrabili o etichettabili. Questa volta al centro della storia vi è un triangolo amoroso che vede protagonisti un celebre scrittore (François Berléand), una giovane e attraente presentatrice televisiva (Ludivine Sagnier) e un rampollo di una famiglia ricchissima che vive di rendita (Benoît Magimel).


Tutti i personaggi hanno i propri scheletri nell’armadio e un lato oscuro, latente, che cozza radicalmente con le apparenze (altro tema centrale della cinematografia chabroliana è proprio l’illusorietà dell’esteriorità) e la pubblica rispettabilità di ognuno di loro. Ciò che colpisce profondamente della pellicola è l’atteggiamento di Chabrol: egli non prende posizione nei confronti delle persone e delle vicende che mette in scena, limitandosi a descrive nel modo più distaccato e freddo possibile, senza alcun tipo di moralismo, un mondo le cui cifre dominanti sono la finzione e l’inganno. La regia, come sempre, è essenziale e assai funzionale alle esigenze narrative ed espressive. Frutto di una concezione del cinema come momento di riflessione, L’innocenza del peccato è un film piuttosto interessante e stimolante, anche se di certo aggiunge ben poco al lavoro del maestro francese.

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