Scrivere di un film come The Tree of Life subito dopo la prima visione è una di quelle sfide improbe e impossibili alle quali, a causa delle regole del gioco a cui non è possibile sottrarsi, sono sottoposti i critici cinematografici quando si trovano costretti a giudicare “per direttissima” film tanto complessi, stratificati e poetici. Data la florida ricchezza dell’opera in questione, che si alimenta di un susseguirsi di immagini di una bellezza mozzafiato che per due ore e mezza ininterrottamente sfidano l’occhio a godere del proprio oggetto di visione, l’unica strada percorribile per una prima (e assolutamente parziale) analisi è quella di limitarsi ad indicare una serie di suggestioni che il tanto atteso lavoro di Malick riesce a suscitare in chi guarda.
Con ogni probabilità il film non verrà compreso da molti e altrettanti ne saranno annoiati. O forse, più semplicemente, sarà visto da pochissimi all’infuori di quegli amanti del cinema che per definizione ammirano Malick da decenni nonostante la sua così esigua produzione (cinque film in trentotto anni, con un sesto in uscita forse l’anno prossimo). È evidentemente un film per pochi, The Tree of Life: per quei pochi che amano andare al cinema per pensare, riflettere su se stessi e sul mondo che li circonda; e per quella forse ancor più stretta cerchia di persone che, al contempo, è disposta a lasciarsi andare con il cuore in mano e la mente aperta a quell’inebriante, poetica, fluente cascata di immagini tipicamente malickiana che sembra essere l’esplicita traduzione iconografica dei suggestivi monologhi interiori di cui i film del regista da sempre si sono nutriti (in particolare da La sottile linea rossa in poi, ma non solo).
The Tree of Life è pura poesia per immagini in movimento e Malick, con la vena del poeta in stato di grazia, è riuscito nell’impresa di far dialogare il particolare (le vicende di una famiglia degli anni cinquanta della provincia americana alimentata da rapporti tesi e irrisolti) con l’universale assoluto (la nascita del cosmo e della vita), giocando in modo sublime con le potenzialità liriche insite nel linguaggio cinematografico.
Partendo da una storia familiare delineata per frammenti, quasi solo abbozzata ma egualmente intensissima, e che ripercorre il processo di formazione di un figlio che vive in modo drammatico gli opposti approcci educativi dei genitori, il grandissimo cineasta statunitense costruisce una spirale di immagini straordinarie che, in un limbo dove convivono, sovrapponendosi e alternandosi magicamente, ricordi, pensieri, immaginazioni e rivelazioni, sfida lo spettatore susseguendosi per associazione di idee.
Tale stratagemma narrativo-formale, particolarmente evidente ne La sottile linea rossa (1999) e in The New World (2005), ma presente in misura minore anche ne La rabbia giovane (1973) e I giorni del cielo (1978), viene qui radicalizzato da Malick e trascina lo spettatore all’interno di una esperienza cinematografica unica e di rara intensità estatica, tendente con estrema libertà a varcare ogni dimensione spaziale, temporale e infine materiale, nell’ammaliante ed enigmatico finale. Malick va avanti e indietro nel tempo, intervallando le immagini che raccontano le vicende della famiglia texana, composta da padre (un grande Brad Pitt), madre (la bravissima Jessica Chastain) e tre figli, con immagini che mostrano la nascita dell’universo e della vita sulla Terra, narrandoci sinteticamente anche la vita da adulto del più grande dei tre fratelli (Sean Penn); e in tal modo giunge ad offrire stimolanti e inattesi spunti di riflessione su temi imprescindibili e universali quali la vita, la morte, la fede. Al centro di tutto, una toccante e tutto sommato semplice, ma davvero unica nella storia del cinema per le modalità narrativo-formali impiegate, riflessione sul fondamentale ed inevitabile ruolo delle figure familiari nella formazione di ogni singolo individuo.
Se ci chiedessero di sbilanciarci affermeremmo che The Tree of Life è un capolavoro, tanto in considerazione della prepotente forza del linguaggio filmico esibito, quanto della smisurata ambizione dell’impianto narrativo che ne costituisce l'ossatura. Al di là della problematica attribuzione, ancor più dopo una sola visione, di un’etichetta così ingombrante e impegnativa, l’opera è ad ogni modo il miglior film di Malick. E già solo questo, va da sé, significa davvero molto. In uscita il 18 maggio prossimo: assolutamente da non perdere.
Articolo pubblicato su cinemartmagazine
In effetti sembra promettere molto bene: a questo punto non mi resta che vederlo appena esce!
RispondiEliminaBella recensione!! complimenti! la migliore che ho trovato!! :)
RispondiEliminaGrazie per i complimenti matteo, e benvenuto nel mio blog! persogiàdisuo, poi quando vedrai il film fammi sapere cosa ne pensi.
RispondiEliminaAttenzione attenzione: se scrivi che questo è il miglior film di Malick... beh... mi tremano già le gambe! Confermo il giudizio del mio omonimo, ottima recensione scritta da uno che dimostra senz'altro di conoscere il regista, il che è assolutamente imprescindibile se si vuole riuscire a cogliere i suoi film. Grazie. Matteo
RispondiEliminaGrazie a te matteo. Sono convinto che sia il miglior film di Malick perché per me qui la poetica del regista americano e il suo modo di intendere il cinema si esaltano al massimo grado. I suoi tradizionali monologhi interiori (che mi sembra possano essere ricollegati a una sorta di inconscio dei personaggi più che a dei veri e propri loro pensieri consci)entrano in una simbiosi davvero feconda con le immagini di indicibile bellezza che scorrono sullo schermo. Se ti va, torna a postare il tuo commento dopo aver visto "The Tree of Life". Mi farebbe molto piacere, infatti, intavolare una discussione su questo grandissimo film con i lettori del mio blog.
RispondiEliminaNon mancherò, ho amato tutti i film di Terrence Malick ("I giorni del cielo" un po' meno degli altri), e mi piace cercare in giro per la rete qualcuno con cui discuterne. Spero di vedere il film molto presto!
RispondiEliminaLa tua mi sembra una delle migliori recensioni di questo film che anch'io definirei un capolavoro dopo averlo visto ben due volte.
RispondiEliminaQuello che però a me sembra che sfugga a te come a tutte le recensioni che ho visto è la linea guida del film e questo è dovuto alla grande ignoranza biblica che c'è in giro: perché il "filo rosso" di tutta la storia è contenuta nel Libro di Giobbe che Malick cita esplicitamente ed implicitamente lungo tutto il film...
Giobbe è una storia inventata nella Bibbia come una piéce teatrale per dare una risposta di Fede alla domanda sulla sofferenza degli innocenti ("perché hai permesso che morisse un bambino?") che inevitabilmente mette in questione Dio, la Sua natura, la Sua esistenza...
Il vero protagonista di questo film non è la famiglia americana anni '50, che ne è solo lo scenario di fondo, ma è Dio stesso e la relazione che l'uomo può avere con Dio nella sua esistenza umana. Giobbe, dopo aver perso tutto e aver "discusso" pure con Dio che gli risponde "dov'eri tu quando io creavo l'universo e tutto quello che contiene?" (la domanda che appare all'inizio del film)... dice, "prima ti conoscevo per sentito dire" (infatti anche i protagonisti della vicenda sono tutti molto religiosi: "vado a Messa tutte le domeniche") dopo questa profonda esperienza caratterizzata anche dal doloroe e dalla perdita ("da cui nessuno può mettersi al riparo") giunge a dire "ma ora ti ho visto con i miei occhi" ...e questa è la esperienza profonda che si può fare dell'amore di Dio e delle persone care, che è l'unica cosa che resta nella vita, e che ci apre all'eternità.... secondo le sublimi immagini finali del film che sanno di non poter mostrare, ma solo lasciar intuire ciò che c'è di più trascendentale nell'esperienza umana: l'incontro con Dio!
...un capolavoro porfondamente religioso...
Ciao Davide M., intanto benvenuto nel mio blog.
RispondiEliminaLa questione della religione l'ho volontariamente tralasciata nella mia recensione (ho scritto senza soffermarmi genericamente del fatto che Malick con il suo film "[...]giunge ad offrire stimolanti e inattesi spunti di riflessione su temi imprescindibili e universali quali la vita, la morte, la fede") perché non ho reputato opportuno affrontare questo aspetto complessissimo del film dopo la sola prima visione. Non a caso in apertura di recensione, ho tenuto a sottolineare esplicitamente che quella che stavo andando a proporre era una analisi inevitabilmente parziale e non conclusiva: "[...] l’unica strada percorribile per una prima (e assolutamente parziale) analisi è quella di limitarsi ad indicare una serie di suggestioni che il tanto atteso lavoro di Malick riesce a suscitare in chi guarda."
L'aspetto religioso è senza dubbio molto presente (basti pensare anche solo alla esplicita didascalia d'apertura in cui si cita Giobbe); credo anche però che quello che si respiri nel film sia il senso di una spiritualità ancor più ampia e non direttamente riconducibile alla sola fede cristiana (qualcosa del genere ha dichiarato anche Brad Pitt a Cannes).
Il fatto, però, che il vero protagonista del film sia il rapporto dell'uomo con Dio non mi trova perfettamente d'accordo: a me il film tutto sembra una riflessione più generale sull'uomo e una stratificata e ammaliante interrogazione sul suo essere nel mondo, sul suo posto nel mondo e nell'Universo. Sullo sfondo, certo, ci sono indubbiamente una serie di stimolanti riflessioni sul rapporto dell'uomo con la fede e con la religione (come parlare d'altronde del rapporto dell'uomo con il mondo e con la propria esistenza, senza approcciarsi alla questione della fede?). E quanto scrivi tu mi sembra costituire uno spunto di riflessione davvero molto interessante. La mia sensazione dopo la prima visione, però, è che quello della fede sia solo uno dei tanti macro-temi che si irradiano da questo film straordinario.
Sull'aspetto religioso del film, ad ogni modo, mi riservo di riflettere ulteriormente con la seconda visione. Grazie ancora per il tuo interessantissimo commento.
Ciao Luca, ti ringrazio per la tua risposta al mio commento e spero di averti almeno incuriosito sul tema...Giobbe.
RispondiEliminaRiguardo a quello che dici sul tema della riflessione sul uomo, il mondo e sul suo posto nell'Universo, concordo con te, ma non pensare che questo sia "al di fuori" del tema Dio, nel senso che proprio tutte le esperienze religiose mostrano che il primo rapporto con Dio che ha l'uomo è come "Creatore",per questo che Malick, a mio parere, fa questo escursus sull'universo e poi sulla comparsa della vita (dal mare) e poi dell'uomo sulla terra (il meteorite...) che sembra riecheggiare implicitamente quel Salmo che dice: "O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome, sopra i cieli si innalza la tua magnificienza... Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos'è l'uomo perché te ne ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?"...
Quelle immagini allora diventano non più un escursus da National Geographic, come qualcuno l'ha etichettato, ma veramente essenziali nella logica del film, dove, nella frase fuori campo poco prima si chiedeva qualcosa come (non ricordo le parole esatte) "Chi sei tu? Come sei fatto?" e le immagini ne sono la risposta silenziosa...
Ho notato che queste frasi fuori campo (del pensiero del figlio grande) aprono come dei "capitoli" nella narrazione; infatti il capitolo successivo sulla sua nascita dall'amore dei suoi genitori risponde alla domanda fuori campo "Quando mi hai toccato la prima volta?" (o simile, non ricordo più esattamente le parole)... sono le varie tappe dell'esperienza umana di Dio, che inevitabilemente coinvolgono anche il Creato e poi, successivamente, il "microcosmo" familiare ed affettivo (sono alluse anche le prime cotte amorose) per poi, però, allargarsi alla prospettiva "escatologica", cioé all'eternità... sperimentabile già in questa vita (l'ascensore che scende di nuovo sulla terra ed il figlio grande, circondato dal correre della vita di tutti i giorni, che sorride). Alla fine del film appare poi un ponte, immagine significativa che, tramite questa esperienza, che contempla anche il dolore ed il dubbio, l'esperienza di Giobbe, si è giunti a stabilire un "ponte" una relazione con Dio, cioé con l'aldilà, cioé con ciò che conta veramente, ciò che resta in eterno: l'amore autentico. "La vita passa come un soffio..." quando c'è l'immagine del trasloco ovviamente metaforica del nostro stare a questo mondo...
Che poi a questa esperienza religiosa lui abbia voluto mettere la firma di cristiana cattolica, lo si evince dalla scelta di mostrare una chiesa ed un prete cattolico (anche se sulle prime a me sembrava protestante, ma alla seconda visione mi sono ricreduto). Il non insistere troppo sulla classica iconografica cattolica (crocifissi, immagini sacre, ecc, totalmente assenti) è però voluto per non togliere universalità al discorso e permettere di superare i pregiudizi che può avere lo spettatore e permettergli di ricevere il messaggio profondo ed esistenziale per quello che è e non filtrato da un'etichetta religiosa a qualsivoglia... ma i contenuti di fondo sono squisitamente cristiani e, a mio parere anche cattolici, (di certo non buddisti o mussulmani, per dire...)
Ovviamente questo secondo il mio punto di vista, ma le tracce che Malick dissemina lungo tutto il film sono impressionanti... indizi come in un puzzle da ricostruire, o enigmi lanciati al "buon intenditor" che come un bravo Sherlock Holmes ne sappia ricostruire la matassa...
Alla fine della fiera non mi ha lasciato nulla. E qst perchè non emoziona. Non basta il National Geographic o la durezza di un Brad Pitt padre padrone a commuovere. Bellissime le immagini, ma il film non va a segno. Peccato, mi aspettavo molto, ma non riesco a non buttarlo giù dalla torre... Ne parlo qui: http://onestoespietato.wordpress.com/2011/05/28/the-tree-of-life-malick-delude/ :)
RispondiEliminaSì può dire di tutto del film di Malick, ma la cosa importante e su cui riflettere, come scrivi tu stesso Tommaso nel commento qui sopra, è che non si riesca davvero a buttare giù dalla torre. Io personalmente credo sia un film straordinario e l'idea di intrecciare la vita della famiglia degli anni cinquanta del secolo scorso con la nascita dell'Universo e della vita, passando per la vita di Sean Penn, l'ho trovata geniale. Questa scelta mi ha personalmente portato ad un coinvolgimento emotivo molto intenso. Ad ogni modo, credo si possa concordare sul fatto che "The Tree of Life" è un film talmente potente, ambizioso, coraggioso e meravigliosamente anticonvenzionale che non non può essere ignorato o lasciare indifferenti.
RispondiEliminaD'accordissimo, anche a me è piaciuto molto: il film del grande Malick è un'opera decisamente poliedrica e visivamente eccezionale, i cui echi di filosofia poetica ricordano un'ispirata sinfonia.
RispondiEliminaSono convinto che questo film rimarrà con il passare del tempo e che se ne parlerà molto nei prossimi anni e decenni, tra cinefili e nelle università.
RispondiEliminaUn film che è molto più di un film! Finalmente l'ho visto e ho scritto la mia recensione!
RispondiEliminaMi fa molto piacere ti sia piaciuto, appena posso vado a leggere la tua recensione e commento!
RispondiEliminaHo pazientemente e ansiosamente atteso l'uscita del dvd, e finalmente ieri sera l'ho visto! Prima premessa: provo quasi fastidio all'idea di dover scrivere in poco spazio qualcosa di sensato e minimamente esaustivo su quest'opera. Seconda premessa: ho bisogno - quasi fisico, dato che ho fatto fatica ad addormentarmi la notte scorsa, continuamente alle prese con una quantità di domande e di letture che mi afferravano - di rivederlo, e non credo che basterà una sola altra volta. Splendido, invadente e coinvolgente. Mi ha sorpreso l'equilibrio di trama e monologhi, ancora più perfetto dell'equilibrio già toccato con "La sottile linea rossa" e un po' compromesso in "The new world". Mi ha come sempre estasiato la capacità di Malick di comporre le immagini e di dar loro un significato tanto profondo quanto chiaro. Ho apprezzato molto la prova di Brad Pitt, ma anche quella di Hunter McCracken. Ho trovato molto bella la colonna sonora, con questa meravigliosa invasione di musica classica e musica sacra. Ma più di tutto ho trovato che questo film sia profondamente religioso, e qui so che non tutti concordano. Eppure dalla domanda iniziale di Giobbe alla scena finale, accompagnata dall'"Agnus Dei", si passa dal Dio dei 10 comandamenti, quello dell'antico testamento, al Cristo (l'Agnus Dei, appunto) del comandamento nuovo: "Amatevi l'un l'altro". Quella di Jack è una conversione, intesa in senso puramente cristiano (volgere lo sguardo in una nuova direzione), che non porta a una verità definitiva, ma lo conduce su una nuova strada, lungo la quale potrà riuscire a dare un senso a quanto non era mai riuscito a comprendere. Detto questo, sono convinto che questa dimensione non sia in contrasto con una più generale dimensione umana, perchè la condizione di cui parla è propria di qualunque uomo, e la via per affrontarla è in defintiva molto simile per chiunque. L'opera di Malick è in questo senso assolutamente universale, pone milioni di domande e fornisce una sola risposta, quella - personale - del regista. Si può accettare o rifiutare questa scelta, ma sicuramente è una scelta di valore e di coraggio. Per quanto riguarda la parte più puramente cinematografica, ho trovato splendide le scene della nascita di Jack (sia la nascita fisica che quella spirituale, con lui che arriva dall'acqua), quella - ebbene sì! - dei dinosauri (l'inaspettata azione della Grazia anche laddova la Natura domina), quella del padre che al pianoforte accompagna il figlio che suona la chitarra, e naturalmente la scena finale, visionaria ma molto misurata: come non cogliere il profondo abbraccio con la madre contrapposto al contatto molto più misurato col padre? E' proprio questo il cammino di Jack... Infine una nota critica: forse questo film sarebbe dovuto durare quattro ore, perchè secondo me la madre e Jack da adulto meritavano uno sviluppo meno marginale dei rispettivi personaggi, che sono un po' confinati nelle zone periferiche del film, pur essendo i due motori del cammino spirituale e concettuale di tutta la pellicola. Mi fermo, e più ci penso più ho una voglia enorme di rivederlo. Grazie dello spazio!
RispondiEliminaFigurati Matteo, lo spazio dei commenti lo metto a disposizione proprio per scambiare opinioni sui film con i miei lettori. Sono ben felice che hai offerto la tua interessante analisi in un commento all'interno del blog!
RispondiEliminaTi do una notizia che riguarda la tua nota critica: nel numero dello scorso giugno dei "Cahiers du Cinéma", il direttore della fotografia Emmanuel Lubezski ha rivelato che Malick sta lavorando ad una versione di 6 ore di "The Tree of Life" da inserire presumibilmente in una edizione speciale del dvd/blu ray!
Grazie, in effetti ne avevo sentito parlare, ma solo in via non ufficiale. Ma se lo dice Lubezki... è il caso di iniziare la preparazione psicofisica!
RispondiEliminaPensa che, da amante di Malick, invece io l'ho trovato una delle più grandi delusioni dell'anno.
RispondiEliminaVerboso e chiuso in se stesso, perfezione formale ma anche "tutto fumo".
Forse alla Grazia io preferisco la Natura.
Questo film ha davvero spaccato la critica a metà, ma per me rimane il film più importante dell'anno.
RispondiEliminaa me è piaciuto e molto, forse perchè parla di cose che mi interessano, ed è stato il primo film di Malick che ho visto per intero :)
RispondiEliminaper me è un capolavoro, con delle immagini di rarissima e ammaliante bellezza (se Lubetzki non si dovesse portare a casa l?oscar per la miglior fotografia sarebbe a dir poco uno scandalo)
EliminaEcco, alla fine nemmeno un Oscar. Se devo essere sincero non ne sono troppo dispiaciuto, perchè l'Academy ha finora dispensato una sola statuetta a Terrence Malick, per la fotografia di "I giorni del cielo", che tra l'altro per me è il meno riuscito dei 5 suoi film. E allora, dico io, è evidente che c'è qualche motivo se accade una cosa del genere. Credo che tra il nostro e l'Academy non ci sia troppo feeling, e tutto sommato se ripenso che "La sottile linea rossa" era stata battuta da "Shekespeare in love" per il miglior film e da "Salvate il soldato Ryan" per regia, fotografia e montaggio... beh, allora mi sa che non si tratta solo di un sospetto. Così sia, resta il fatto che "The tree of life" è un film di categoria superiore.
RispondiElimina"The Tree of Life" è di gran lunga un film di categoria superiore (lo ribadivo qualche giorno in risposta ad alcuni commenti sul mio post dedicato ai vincitori dell'Oscar), concordo con te al 100%. Purtroppo per film come quest'ultimo di Malick, che sono con evidenza così fuori da ogni tipo di standard stilistico-narrativo o legge di mercato, tenderei a ritenermi già soddisfatto per le tre nomination ricevute (ben poco credibile, tra l'altro, che Brad Pitt sia stato nominato per Moneyball e non per il suo ottimo lavoro in "The Tree of Life"). Storicamente l'Academy tende a premiare i film meno problematici e ambiziosi. Il tuo esempio di cosa accade l'anno de "La sottile linea rossa" è paradigmatico, ma se ne poterebbero fare tanti altri purtroppo!
RispondiEliminaCerto, perlomeno l'Oscar alla miglior fotografia, essendo un premio "tecnico", me lo sarei aspettato ... e invece neanche quello!
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